L'ultima speranza di Socrate - Cicerone versione latino
L'ultima speranza di socrate versione latino Cicerone
Magna - inquit - me spes tenet, iudices, bene mihi evenire quod mittar ad mortem....
Io - affermò - possiedo una ferma speranza, o giudici, che sia per me bene esser mandato a morte.
Perchè le cose, logicamente, sono 2: o la morte priva completamente di ogni forma di coscienza, o con essa si passa da quaggiù in qualche altro luogo. Perciò, se la morte elimna la coscienza, ed assomiglia a quel sonno che qualche volta non è nemmeno disturbato dalle visioni dei sogni e ci porta la quiete più assoluta, allora, o dei benigni, la morte è veramente un grande bene. Quanti giorni si possono trovare, che siano preferibili ad una notte come quella? E se ad essa sarà simile per l'eternità il tempo a venire, chi potrà essere più felice di me? Se invece è vero quello che si dice - che la morte è migrazione agli spazi in cui abitano i trapassati - allora la felicità è anche molto più grande.
Pensate: sfuggire dalle mani di quelli che pretendono di passare per giudici, e comparire davanti a chi veramente merita questo nome, a Minosse, a Radamanto, ad Eaco, a Trittolenio, e incontrarsi con quelli che vissero secondo le leggi della giustizia e della lealtà! Un viaggio come questo a voi sembra una cosa poco importante?
Quanto dareste per poter parlare con Orfeo, con Museo, con Omero, con Esiodo? Per conto mio, se fosse una cosa possibile, io vorrei morire tante volte, se mi fosse permesso di vedere coi miei occhi quello di cui parlo. Che piacere proverei ad incontrarmi con Palamede, con Aiace, e con gli altri che furono vittime di giudizi iniqui.
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