capitolo 34 dei promessi sposi

Messaggioda giusipia » 20 mar 2009, 20:49

capitolo 34 dei promessi sposi

giusipia

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Messaggioda giuliaciti » 20 mar 2009, 20:55

ma vuoi il riassunto???



Riassunto del capitolo XXXIV

Per entrare a Milano Renzo non incontra particolari difficoltà: basta una moneta per ottenere il rapido consenso della guardia. Se fuori di città ciò che intristisce la campagna, parte incolta e tutta arida, dentro la città impressionano il silenzio e i segni desolanti della peste, che come potenza distruttiva travolge ogni cosa lasciando dietro di sé cadaveri e cenci. Proposito principale di Renzo di pervenire alla casa di don Ferrante alla ricerca della sua Lucia. Non ha con sé che indicazioni generiche. Un passante, a cui con buona educazione chiede informazioni, lo allontana con mal garbo con gli occhi stralunati e imbracciando e minacciando con un nodoso bastone: lo aveva ritenuto un unto re. L'attenzione di Renzo è poi richiamata dalle invocazioni di una donna circondata dai suoi bambini e chiusa e sequestrata in casa dall'esterno: ritenendola portatrice di peste, gli amministratori l'avevano chiusa, come si fa per la quarantena e l'avevano dimenticata. Rischiava di morire di fame. Renzo le porge il poco pane di cui dispone: si incarica di avvertire qualcuno. Poco dopo incontra un prete che finisce di confessare un malato. A lui affida la donna e gli chiede informazioni sull'ubicazione della casa di don Ferrante. Ma via via che scorre lungo i quartieri della città, da quelli periferici a quelli del centro, Renzo si imbatte in scene raccapriccianti di dolore e di morte: dovunque fetore di cadaveri, visioni di solitudine e di abbandono, serrati tutti gli usci di strada, per tutto cenci, e segni di un progressivo imbarbarimento delle menti e dei costumi. quando Renzo arriva in città, questa aveva per la peste perduto i due terzi della popolazione. Le strade erano deserte: i pochi che per necessità le percorrevano prendevano tutte le cautele per evitare il contagio e per scansare incontri con i favoleggiati untori. Carri guidati da monatti erano adibiti alla raccolta dei malati o dei cadaveri. Ad un monatto una povera madre consegna il corpo esanime di una sua figliola: l'adagia lei stessa nel carro raccomandando che la si lasci così. Poco dopo si affaccia ad un balcone con in braccio un 'altra bambina, anche lei segnata dalla peste. Vincendo la commozione Renzo si avvia verso la casa cercata: alla finestra si affaccia una donna che gli annuncia che Lucia non c'è, che è stata portata al lazzaretto. E nulla altro risponde a Renzo, che voleva notizie più precise e teneva indeciso la mano sul martello della porta: lo stringeva e lo storceva. Il gesto non sfugge ad una donna che passava, una sorta di strega che lo addita alla folla come untore. Preso in mezzo dalla piccola folla Renzo prima minaccia col coltello, poi salta su un carro di monatti che stava passando. I monatti lo prendono sotto la loro protezione: la folla si dissolve scaricando la propria rabbia impotente in gesti che minacciano ancora il presunto untore. Renzo su quel carro si trova ora dentro le forme più sconvolgenti e turpi della peste: e non sono solo i cadaveri buttati sui carri a dare l'impressione di qualcosa di infernale, ma anche i monatti che si abbandonano ad una sorta di sadico compiacimento per la molta gente che muore e cantano canzonacce e bevono e si danno a forme di diabolica orgia. Ad uno di loro Renzo appare un povero untorello, uno che certamente non può essere un untore. Non ne possiede secondo il monatto i fieri requisiti. Ormai sono al lazzaretto: Renzo ringrazia e si congeda. Dentro il lazzaretto ciò che colpiva era la folla dei malati, sui quali la peste, anche se sopravvivevano, lasciava a volte segni spaventosi di degradazione. Il gruppo che più impressiona è quello degli alienati mentali, degli istupiditi. Una scena improvvisa è quella di un cavallo non domo con sulla groppa un cavaliere, un appestato impazzito: dietro corrono i monatti: tutto poi si ravvolge in un nuvolo di polvere.

giuliaciti

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