da Arsenio » 3 set 2008, 6:33
ecco anche un corposo commento, con questo dovresti chiarirti le idee definitivamente :D
"Sono certa che gran parte delle recensioni si concentrerà sulla trama, quindi la descriverò a grandi linee prima di dedicarmi al mio giudizio sul libro come opera.
E' la storia di Mariam, una harami, la figlia illegittima di un ricco uomo di Herat (Afghanistan) e di Nana, un'umile cameriera. In quanto harami, a Mariam sono precluse l'istruzione, la presenza di un padre, la speranza in una vita migliore, fino all'orribile tragedia che sconvolge la sua vita per sempre. Anche il corso della vita di Laila, brillante figlia di un professore di Kabul, viene deviato dalla guerra e dal caos che regna nella città, finchè le vite delle due donne non si intrecciano come due gocce di pioggia su un finestrino: inevitabilmente, a prescindere dalle intenzioni di entrambe.
Sono queste le premesse di un romanzo dolce e tremendamente straziante che si legge in due giorni al massimo e che mi ha lasciata sconvolta per il realismo delle descrizioni, per la consapevolezza che anche il più truce degli eventi trova non una ma centinaia di migliaia di rispondenze nella realtà dell'Afghanistan (e non solo, purtroppo).
E' unica l'abilità di Hosseini nel descrivere la vita di una donna privata di tutto, scandita da rituali come le pulizie, la cucina, la cura del marito, mostrando ogni cosa nel dettaglio e dando l'impressione al lettore di vestire davvero i panni di Mariam prima, di Laila poi.
L'autore ci catapulta in un universo che sta in pochi metri quadri, fatto di secchi e pezze per pulire via le ragnatele, di palline di riso appiccicaticcio, di sassi usati per ogni tipo di gioco e di ignominia, di sangue ma anche di cose piacevoli, piccoli raggi di luce in un'esistenza segnata da privazioni terribili perchè insensate. Una risata tra donne durante la festa del paese, una tazza di tè, la carne tenera del kebab, i piccoli regali di uomini deboli e crudeli, incapaci di dialogare.
Dietro l'angolo, costante, c'è l'ombra della disperazione. Insieme alla situazione dell'Afghanistan, le vite di Mariam e Laila precipitano in un vortice di orrore che non le allontana da quei pochi metri quadri, che strappa loro persino la voglia di sperare e le scaraventa in una prigione in cui restano ben poche cose di cui essere grate, tra cui la sensazione di sicurezza dovuta all'indossare il burqa.
Già, Hosseini mi ha fatto comprendere come mai tante donne afghane siano ancora riluttanti a sbarazzarsi di quella corazza che cancella l'identità, che rende una camminata un'impresa ardua e faticosa, ma che al tempo stesso offre la libertà dagli sguardi maligni degli uomini, e non parlo degli sguardi che compromettono l'onore, quegli sguardi che secondo padri, mariti e fratelli spregevoli minano il buon nome della famiglia a prescindere dal comportamento della donna, ma degli sguardi di condanna, di disprezzo, che sporcano l'anima più di ogni altra cosa e che non hanno alcuna base razionale. Come è possibile che un popolo, o parte di esso, odi le proprie donne? Come è possibile che nel 2007 questo continui ad accadere, non solo in Oriente ma persino nella società occidentale? Dobbiamo credere al detto della mamma di Mariam, che la avverte che "come l'ago di una bussola indica il nord, così il dito accusatore di un uomo indica sempre una donna a cui dare la colpa"?
Io non credo che si tratti di una guerra tra uomini e donne, e non lo crede nemmeno Hosseini, visto che affida il riscatto del cosiddetto sesso forte a Tariq, una delle figure più interessanti del romanzo, un ragazzino reso zoppo da una mina che avrà una parte importantissima nella vita di Laila. Tariq è lì per dirci che la situazione sociopolitica paradossale e ai limiti dell'incredibile è il frutto di continue violenze perpetrate da invasori esterni e interni (i sovietici, i mujahiddin, i talebani, gli americani) ad un paese già segnato da divisioni etniche, linguistiche, geografiche, ma che tuttavia era anche una culla di cultura, bellezza, poesia, musica. Una patria degna di questo nome, insanguinata al punto che ogni afghano è stato toccato dal lutto.
Il finale dolceamaro lascia il vuoto nella mente e nel cuore del lettore, scosso da un orrore che sa essere reale e a cui vorrebbe in qualche modo porre rimedio. Io non so se sia possibile. Certo, ci sono alcune cose pratiche che possiamo fare, come donare soldi al fondo delle Nazioni Unite per i rifugiati afghani, ma credo fermamente che aprire gli occhi verso una realtà lontanissima dalla nostra sia già un punto di partenza, e per questo sono grata a Khaled Hosseini e all'infinito amore per l'Afghanistan che trapela da ogni singola parola, dalla presenza di così tanti termini in lingua afghana e in special modo dalla delicatezza con cui riesce a descrivere anche le cose più orribili.
Capire le ragioni di alcuni comportamenti che siamo troppo spesso disposti a bollare e liquidare come "folli", chiederci cosa spinga tanti volontari a partire verso l'Afghanistan e tanti rifugiati a tornare a Kabul nonostante l'eventualità di essere spazzati via da una bomba è un passo avanti verso la tolleranza e il rispetto, cioè le prime cose che vengono calpestate da ogni regime in ogni angolo del mondo, e che diamo troppo spesso per scontate. "