Sarebbe proprio della nostra fiducia e pietà proclamare agli uomini molto forti quanto siamo memori di loro, quanto grati. Perciò le nostre promesse e anche quelle che, terminata la guerra, giurammo alle legioni, ogggi con un decreto del senato siano rinnovate. E anche volesse il cielo che, senatori, a noi fosse lecito pagare i debiti di tutti i cittadini. Sarebbe facile parlare bene con loro, dai quali anche se silenziosi sembriamo essere pretesi. Quello più ammirevole e più grande e moltissimo sarebbe proprio del senato e del popoolo romani onorare il valore di quelli con grato ricordo, che ebbero sacrificato la vita per al patria, Dell'onore dei quali volesse il cielo che a me venissero in mente di più (cose)! Due certamente non tralascerò, che moltissimo accorrono in mente (mi vengono in mente), delle quali una mirava alla gloria eterna degli uomini fortissimi, l'altra ad attenuare la tristezza e l'avidità odierna.
Est fidei pietatisque nostrae declarare fortissimis viris quam eorum memores simus, quam grati. Quamobrem promissa nostra atque ea quae, bello confecto, legionibus spopondimus, hoderno die senatuconsulto renoventur. Atque utinam, patres conscripti, civibus solvere praemia nobis liceret. Facile est bene agere cum iis, a quibus etiam tacentibus flagitari videmur. Illud admirabilius et maius maximeque proprium senatus et populi romani est grata memoria eorum virtutem prosequi, qui pro patria vitam profunderunt. Quorum de honore utinam mihi plura in mentem veniret! Duo certe non praeteribo, quae maxime menti occurrunt, quorum alterum pertinet ad virorum fortissimorum gloria sempiternam, alterum ad laniendum maerorem et lucrum hodiernum. Maxime laude dignum est legionis Martiae militibus monumentum fieri quam amplissimum. Praemia ergo, quae militibus promisimus, ea vivis victoribusque, quoniam tempus venit, cumulate persolvantur. Qui autem ex iis, quibus promissa sunt, pro patria occiderunt, eorum parentibus, liberis, coniugibus, fratribus, eadem tribuantur.
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Ut enim apud platonem est, omnem morem Lacedaemoniorum inflammatum esse cupiditate vincendi, sic, ut quisque animi magnitudine maxime excellet, ita maxime vult princeps omnium vel potius solus esse. Difficile autem est, cum praestare omnibus concupieris, servare aequitatem, quae est iustitiae maxime propria. Ex quo fit ut neque disceptatione vinci se nec ullo publico ac legitimo iure patiantur, existuntque in re publica plerumque largitores et factiosi, ut opes quam maximas consequantur et sint vi potius superiores quam iustitia pares. Sed quo difficilius, hoc praeclarius; nullum enim est tempus, quod iustitia vacare debeat. Fortes igitur et magnanimi sunt habendi non qui faciunt, sed qui propulsant iniuriam. Vera autem et sapiens animi magnitudo honestum illud, quod maxime natura sequitur, in factis positum, non in gloria iudicat principemque se esse mavult quam videri. Etenim qui ex errore imperitae multitudinis pendet, hic in magnis viris non est habendus. Facillime autem ad res iniustas impellitur, ut quisque altissimo animo est, gloriae cupiditate; qui locus est sane lubricus, quod vix invenitur, qui laboribus susceptis periculisque aditis non quasi mercedem rerum gestarum desideret gloriam.
A quel modo che, come scrive Platone, lo spirito pubblico degli Spartani non ardeva che d'amor di vittoria, così, quanto più uno eccelle per grandezza d'animo, tanto più agogna d'essere il primo, o piuttosto il solo fra tutti. D'altra parte, quando si è posseduti dal desiderio di essere superiore a tutti, è ben difficile mantenere l'equità, che è il principale attributo della giustizia. Onde avviene che gli ambiziosi non si lasciano vincere, né da buone ragioni, né da alcuna autorità di diritto e di leggi; ed ecco emergere per lo più nella vita pubblica corruttori e partigiani, che altro non vogliono se non acquistare quanta più potere è possibile, ed essere superiori nella forza piuttosto che pari nella giustizia. Ma quanto più è difficile, tanto più è bella la moderazione: non c'è momento della vita che possa sottrarsi all'imperativo della giustizia.
Forti e magnanimi, adunque, si devono stimare non quelli che fanno, ma quelli che respingono l'ingiustizia. E la vera e sapiente grandezza d'animo giudica che quell'onestà, a cui tende sopratutto la natura umana, sia riposto non nella fama, bensi nelle azioni, e perciò non tanto vuol sembrare quanto essere superiore agli altri. In verità, chi dipende dal capriccio d'una folla ignorante, non deve annoverarsi fra gli uomini grandi. D'altra parte, l'animo umano, quanto più è elevato, tanto più facilmente è spinto a commettere azioni ingiuste dal desiderio della gloria; ma questo è un terreno assai sdrucciolevole, perché è difficile trovare uno che, dopo aver sostenuto fatiche e affrontato pericoli, non desideri, come ricompensa delle sue imprese, la gloria.
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