Ultima pestis urbis fuit cuniculo subrutus murus, per cuius ruinas hostis intravit. Ducebat ipse rex antesignanos, et, dum incautius subit, saxo crus eius adfligitur. Innixus tamen telo nondum prioris vulneris obducta cicatrice inter primores dimicat, ira quoque accensus, quod duo in obsidione urbis eius vulnera acceperat. Betim egregia edita pugna multisque vulneribus confectum deseruerunt sui, nec tamen segnius proelium capessebat lubricis armis suo pariter atque hostium sanguine. . Sed cum undique telis quo adducto insolenti gaudio iuvenis elatus, alias virtutis etiam in hoste mirator, “Non, ut voluisti,” inquit “morieris, sed, quicquid in captivum inveniri potest, passurum esse te cogita.” Ille non interrito modo sed contumaci quoque vultu intuens regem nullam ad minas eius reddidit vocem. . Tum Alexander “Videtisne obstinatum ad tacendum?” inquit, “num genu posuit? num vocem supplicem misit? Vincam tamen silentium et, si nihil aliud, certe gemitu interpellabo.” Ira deinde vertit in rabiem iam tum peregrinos ritus nova subeunte fortuna. Per talos enim spirantis lora traiecta sunt, religatumque ad currum traxere circa urbem equi, gloriante rege.
Achillen, a quo genus ipse deduceret, imitatum se esse poena in hoste capienda. Cecidere Persarum Arabumque circa X milia, nec Macedonibus incruenta victoria fuit. Obsidio certe non tam claritate urbis nobilitata est quam geminato periculo regis. Qui Aegyptum adire festinans Amyntam com X triremibus in Macedoniam ad inquisitionem novorum militum misit. 31. Namque etiam secundis atterebantur tamen copiae, devictarumque gentium militi minor quam domestico fides habebatur.
Ultima rovina di essa fu il crollo del muro dovuto ad un cunicolo: dalle macerie
di quel varco entrò il nemico. Il re in persona era alla testa delle avanguardie, e mentre avanza senza troppa prudenza, una sassata gli percuote una gamba. E, tuttavia, appoggiato a una lancia combatte fra i primi, mentre la piaga precedente non si era ancora cicatrizzata,
acceso d’ira per essere stato ferito due volte nell’assedio della città. Betis, che si era comportato da guerriero di eccezionale valore, crivellato di colpi, venne abbandonato dai suoi, ma si accaniva nondimeno a combattere con armi che il sangue suo e dei nemici aveva reso viscide. Dopo che era divenuto bersaglio da ogni latogli fu trascinato davanti, Alessandro
si fece prendere da una eccessiva gioia giovanile, lui che altre volte aveva apprezzato il coraggio anche in un avversario. «Tu non troverai la morte, come volevi!» gli gridò; «Pensa invece che soffrirai tutto quello che sarà possibile escogitare a danno di un prigioniero». Betis guardò il re con espressione non solo priva di timore ma spavalda e non replicò verbo alle sue minacce. . Allora Alessandro «Vedete come si ostina a tacere?
» disse; «Ha piegato le ginocchia? Ha tirato fuori una parola di preghiera? Ma io vincerò quel suo silenzio,e, non fosse altro, lo spezzerò coi suoi lamenti!». . Poi la collera lasciò il posto alla rabbia e già allora lo sorte favorevole gli stava instillando comportamenti a lui estranei. Attraverso i talloni del moribondo furono fatte passare delle cinghie e alcuni cavalli lo trascinaro
no legato a un carro intorno alla città, con il re che si vantava di avere imitato Achille, capostipite della sua famiglia, nel modo di vendicarsi di un nemico. 30. Caddero,
tra Persiani e Arabi, circa diecimila, ma la vittoria macedone non fu incruenta. Senza dubbio quell’assedio
non divenne famoso per l’importanza della città, ma per il doppio pericolo corso da Alessandro. Questi, nella fretta di entrare in Egitto, spedì Aminta in Macedonia
con dieci triremi in cerca di nuove reclute. Anche i successi logoravano nonostante tutto la truppa, e sui contingenti forniti dalle popolazioni sconfitte si faceva minore affidamento che sui compatrioti.