da Hidronax » 27 set 2010, 16:16
[b]Ciao a tutti, ecco la versione "Una causa preparata in fretta", autore Cicerone, pag. 215 del Tantucci, "Laboratorio 2"
Quae res in civitate duae plurimum possunt, eae contra nos ambae faciunt in hoc tempore, summa gratia et eloquentia; quarum alteram, C. Aquili, vereor, alteram metuo. Eloquentia Q. Hortensi ne me in dicendo impediat, non nihil commoveor, gratia Sex. Naevi ne P. Quinctio noceat, id vero non mediocriter pertimesco. 2. Neque hoc tanto opere querendum videretur, haec summa in illis esse, si in nobis essent saltem mediocria; verum ita se res habet, ut ego, qui neque usu satis et ingenio parum possum, cum patrono disertissimo comparer, P. Quinctius, cui tenues opes, nullae facultates, exiguae amicorum copiae sunt, cum adversario gratiosissimo contendat. 3. Illud quoque nobis accedit incommodum, quod M. Iunius, qui hanc causam, C. Aquili, aliquotiens apud te egit, homo et in aliis causis exercitatus et in hac multum et saepe versatus, hoc tempore abest nova legatione impeditus, et ad me ventum est, qui ut summa haberem cetera, temporis quidem certe vix satis habui, ut rem tantam, tot controversiis implicatam, possem cognoscere. 4. Ita, quod mihi consuevit in ceteris causis esse adiumento, id quoque in hac causa deficit. Nam, quod minus ingenio possum, subsidium mihi diligentia comparavi; quae quanta sit, nisi tempus et spatium datum sit, intellegi non potest. Quae quo plura sunt, C. Aquili, eo te et hos, qui tibi in consilio sunt, meliore mente nostra verba audire oportebit, ut multis incommodis veritas debilitata tandem aequitate talium virorum recreetur
Due cose che hanno nella città di Roma grandissima forza, cioè favore sommo e somma eloquenza, entrambe cospirano a nostro danno in questo tempo; l’una delle quali, o Gaio Aquilio, io temo, e l’altra pavento. Temo che l'apprensione, in cui mi tiene l'eloquenza di Quinto Ortensio, non mi faccia confondere e mancare nel parlare: assai pavento che il numeroso partito, da cui è spalleggiato Sesto Nevio, non sia a Publio Quinzio pregiudizievole e dannoso. Non avrei da lamentarmi tanto se, trovandosi queste cose in sommo grado nei nostri avversari, si trovassero in noi, per lo meno in grado mediocre. Ma il fatto è che io, che poco valgo per esercizio, e molto meno per ingegno, sono posto di fronte ad un oratore eloquentissimo; e Publio Quinzio, che ha deboli appoggi, che è privo di beni e di ricchezze, che conta pochi partigiani e protettori, è costretto a contendere con un avversario così favorito e protetto. Un altro incomodo si aggiunge a questo; che M. Giunio, il quale ha trattato davanti te, o Aquilio, più d'una volta questa stessa causa uomo a dire il vero in questo mestiere assai esercitalo e versato, e specialmente di questa causa pienissimamente informato, al presente è fuori di Roma, obbligato a partire da nuova ed improvvisa ambasceria. Per cui si è fatto ricorso a me, che, quand’anche nessuna parte di eccellente oratore mi fosse mancata, per certo ho avuto appena il tempo sufficiente per esaminare pienamente, e conoscere a fondo una causa di tale importanza, e piena di tanti litigi e contese. Quindi, ciò che di solito mi era d'aiuto nel trattare l'arte, in questa ancora mi manca. Tu, e costoro, che ti siedono accanto, vogliate ascoltare con maggior benevolenza ed attenzione le mie parole; affinché la verità affievolita dai molti contrattempi, sia dal braccio della vostra equità finalmente sostenuta e rinvigorita.