Dal libro Certamen p. 39 n^ 45
Saggio utilizzo del tempo.
di Seneca.
In aetate nostra quod est optimum in primo est. Id exhauriri aliis potius patimur, ut nobis faecem reservemus? Inhaereat istud animo et tamquam missum oraculo placeat:
<<optima quaeque dies miseris mortalibus aevi prima fugit>>.
Quare optima? Quia quod restat incertum est. Quare optima? Quia iuvenus possumus discere, possumus facilem animum et adhuc tractabilem ad meliora convertere; quia hoc tempus idoneum est laboribus, idoneum agitandis per studia ingeniis et exercendis per opera corporibus: quod superest segnius et languidius est et propius a fine. Itaque toto hoc agamus animo et omissis ad quae devertimur in rem unam laboremus, ne hanc temporis pernicissimi celeritatem, quam retinere non possumus, relicti demum intellegamus.
Nella nostra esistenza la parte migliore è la prima. E noi lasciamo che altri l'attingano e ce ne riserviamo la feccia? Imprimiamoci nell'anima questi versi e consideriamoli quasi il responso di un oracolo: I giorni migliori della vita sfuggono per primi al miseri mortali.
Perché i migliori? Perché quanto rimane è incerto. Perché i migliori? Perché da giovani possiamo imparare, possiamo indirizzare al meglio l'anima ancora docile e duttile; perché questo periodo è adatto alle fatiche, adatto a stimolare la mente con gli studi e a esercitare il corpo con il lavoro: negli anni che ci rimangono siamo più deboli e fiacchi e più vicini alla fine. Perseguiamo perciò un unico scopo con tutta l'anima e, tralasciato ogni motivo di distrazione, diamoci da fare solo a questo fine: che non ci si debba accorgere, quando ormai siamo rimasti indietro, di questa rovinosissima e irrefrenabile velocità del tempo.