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Lacedaemonius quidam, cuius ne nomen quidem proditum est, mortem tantopere contempsit, ut, cum ad eam duceretur damnatus ab ephoris et esset voltu hilari atque laeto dixissetque ei quidam inimicus: "Contemnisne leges Lycurgi?", responderit: "Ego vero illi maximam gratiam habeo, qui me ea poena multaverit quam sine mutuatione et sine versura possem dissolvere". O virum Sparta dignum! Ut mihi quidem, qui tam magno animo fuerit, innocens damnatus esse videatur. Talis innumerabilis nostra civitas tulit. Sed quid duces et principes nominem, cum legiones scribat Cato saepe alacris in eum locum profectas, unde redituras se non arbitrarentur? Pari animo Lacedaemonii in Thermopylis occiderunt. Quid ille semideus dux dicit? "Pergite animo forti, Lacedaemonii: hodie apud Inferos fortasse cenabimus".
Uno Spartano di cui non è stato tramandato neppure il nome, disprezzò a tal punto la morte che, mentre vi veniva condotto, condannato dagli efori, poiché aveva un volto (lett.: era di volto) sorridente e lieto e un suo nemico gli aveva detto: “Disprezzi le leggi di Licurgo?” rispose: “Anzi io ho una grandissima gratitudine verso di lui che mi ha punito con una pena tale che posso scontare senza contrarre prestiti né successive obbligazioni”. O uomo degno di Sparta! Tanto che a me in effetti sembra che sia stato condannato innocente uno che fu di animo così grande. La nostra città produsse innumerevoli simili. Ma perché dovrei nominare condottieri e uomini importanti dal momento che Catone scrive che legioni partirono entusiaste verso quel luogo da dove pensavano che non sarebbero tornate? Con pari coraggio caddero gli Spartani alle Termopili. Che cosa disse quell’eroico condottiero? “Procedete con animo forte, o Spartani: oggi forse ceneremo presso gli Inferi”.