Versione di latino IL TERREMOTO Seneca IUVENTAS

Messaggioda Giuly 421 » 7 dic 2010, 13:26

Ciao Mi servirebbe per favore la versione di latino intitolata IL TERREMOTO di seneca ...Sta a pag 50 N° 2 del libro Iuventas
Pompeios,celebrem Campaniae urbem,.........gentes totas regionesque submergit.

Grazie in anticipo

Giuly 421

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Messaggioda giada » 7 dic 2010, 13:40

Pompeios, celebrem Campaniae urbem, in quam ab altera parte Surrentinum Stabianumque litus, ab altera Herculanense conueniunt et mare ex aperto reductum amoeno sinu cingunt, consedisse terrae motu uexatis quaecumque adiacebant regionibus, Lucili, uirorum optime, audiuimus, et quidem hibernis diebus, quos uacare a tali periculo maiores nostri solebant promittere.
Nonis Februariis hic fuit motus Regulo et Uerginio consulibus, qui Campaniam, numquam securam huius mali, indemnem tamen et totiens defunctam metu, magna strage uastauit: nam et Herculanensis oppidi pars ruit dubieque stant etiam quae relicta sunt, et Nucerinorum colonia ut sine clade ita non sine querela est; Neapolis quoque priuatim multa, publice nihil amisit leuiter ingenti malo perstricta: uillae uero prorutae, passim sine iniuria tremuere.
Adiciuntur his illa: sexcentarum ouium gregem exanimatum et diuisas statuas, motae post hoc mentis aliquos atque impotentes sui errasse. Quorum ut causas excutiamus, et propositi operis contextus exigit et ipse in hoc tempus congruens casus.
Quaerenda sunt trepidis solacia et demendus ingens timor. Quid enim cuiquam satis tutum uideri potest, si mundus ipse concutitur et partes eius solidissimae labant? Si quod unum immobile est in illo fixumque, ut cuncta in se intenta sustineat, fluctuatur; si quod proprium habet terra perdidit, stare: ubi tandem resident metus nostri? Quod corpora receptaculum inuenient, quo sollicita confugiant, si ab imo metus nascitur et funditus trahitur?
Consternatio omnium est, ubi tecta crepuerunt et ruina signum dedit. Tunc praeceps quisque se proripit et penates suos deserit ac se publico credit: quam latebram prospicimus, quod auxilium, si orbis ipse ruinas agitat, si hoc quod nos tuetur ac sustinet, supra quod urbes sitae sunt, quod fundamentum quidam mundi esse dixerunt, discedit ac titubat?
Quid tibi esse non dico auxilii sed solacii potest, ubi timor fugam perdidit? Quid est, inquam, satis munitum, quid ad tutelam alterius ac sui firmum? Hostem muro repellam, et praeruptae altitudinis castella uel magnos exercitus difficultate aditus morabuntur; a tempestate nos uindicat portus; nimborum uim effusam et sine fine cadentes aquas tecta propellunt; fugientes non sequitur incendium; aduersus tonitruum et minas caeli subterraneae domus et defossi in altum specus remedia sunt (ignis ille caelestis non transuerberat terram sed exiguo eius obiectu retunditur); in pestilentia mutare sedes licet: nullum malum sine effugio est.
Numquam fulmina populos perusserunt; pestilens caelum exhaisit urbes, non abstulit: hoc malum latissime patet ineuitabile, auidum, publice noxium. Non enim domos solum aut familias aut urbes singulas haurit, gentes totas regionesque submergit
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O Lucilio, che sei il migliore fra gli uomini, abbiamo sentito dire che
Pompei, frequentata città della Campania, dove si incontrano da una parte le
coste di Sorrento e di Stabia e dall’altra quelle di Ercolano, e circondano con
una ridente insenatura il mare che si ritrae dal largo, è sprofondata a causa di
un terremoto che ha devastato tutte le regioni adiacenti, e che ciò è avvenuto
proprio nei giorni invernali, che i nostri antenati garantivano essere al sicuro
da un pericolo del genere.
Questo terremoto si è verificato alle None di febbraio, durante il consolato
di Regolo e di Virginio, e ha devastato con gravi distruzioni la Campania,
regione che non era mai stata al sicuro da questa calamità e che ne era sempre
uscita indenne, anche se tante volte morta di paura: infatti, anche una parte
della città di Ercolano è crollata e anche ciò che è rimasto in piedi è
pericolante, e la colonia di Nocera, pur non avendo subito gravi danni, ha
comunque motivo di lamentarsi; anche Napoli ha subito perdite, molte fra le
proprietà private, nessuna fra quelle pubbliche, essendo stata toccata
leggermente dall’enorme disgrazia: in effetti, alcune ville sono crollate, altre
qua e là hanno tremato senza essere danneggiate.
A questi danni se ne aggiungono altri: è morto un gregge di seicento pecore,
alcune statue si sono rotte, alcuni dopo questi fatti sono andati errando con la
mente sconvolta e non più padroni di sé. Sia il piano dell’opera che mi sono
proposto, sia la coincidenza che dà attualità all’argomento esigono che
esaminiamo approfonditamente le cause di questi fenomeni.
Bisogna cercare modi per confortare gli impauriti e per togliere il grande
timore. Infatti, che cosa può sembrare a ciascuno di noi abbastanza sicuro, se
il mondo stesso viene scosso e le sue parti più solide vacillano? Se l’unica
cosa che c’è di immobile e di fisso in esso, tanto che regge tutte le cose che
tendono verso di essa, tremola; se la terra ha perso quella che era la sua
peculiarità, la stabilità: dove si acquieteranno le nostre paure? Quale rifugio
troveranno i corpi, dove si ripareranno, se la paura nasce dal profondo e viene
dalle fondamenta?
Lo sbigottimento è generale, quando le case scricchiolano e si annuncia il
crollo. Allora ciascuno si precipita fuori e abbandona i suoi penati e si affida
all’aria aperta: a quale nascondiglio guardiamo, a quale aiuto, se il globo
stesso prepara rovine, se ciò che ci protegge e ci sostiene, su cui sono situate
le città e che alcuni hanno detto essere il fondamento del mondo, si apre e
vacilla?
Che cosa ti può essere non dico di aiuto, ma di conforto, quando la paura ha
perso ogni via di scampo? Che cosa c’è, dico di abbastanza sicuro o di saldo per
difendere gli altri e se stessi? Respingerò un nemico con un muro, e
fortificazioni erette su un’altura dirupata arresteranno anche grandi eserciti
per la difficoltà dell’accesso; un porto ci mette al riparo dalla tempesta; i
tetti tengono lontano la violenza sfrenata dei temporali e le piogge che cadono
senza fine; un incendio non insegue chi fugge; contro il tuono e le minacce del
cielo sono un rimedio le case sotterranee e le grotte scavate in profondità
(quel fuoco proveniente dal cielo non trapassa la terra, anzi viene rintuzzato
da un ostacolo minuscolo); in caso di pestilenza si può cambiare sede: nessun
male è senza scampo.
I fulmini non hanno mai bruciato completamente un popolo; un clima
pestilenziale ha vuotato delle città, non le ha fatte sparire: questo flagello,
invece, ha un’estensione immensa ed è inevitabile, insaziabile, rovinoso per
intere popolazioni. Infatti, non ingoia solo case o famiglie o singole città, ma
fa sprofondare popolazioni e regioni intere,

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