COMPORTAMENTO DI CESARE VERSO I SUOI SOLDATI svetonio

Messaggioda Lu12 » 17 dic 2010, 13:17

potreste postarmi la versione comportamento di cesare verso i suoi soldati da Svetonio libro ianua 2 pag.225 n 55
INIZIO : MILITEM NEQUE A MORIBUS NEQUE A FORTUNA CAESAR PROBABAT,SED TANTUM A VIRIBUS...
FINE : ...PLERIQUE CAPTI CONCESSAM SIBI SUB CONDICIONE VITAM, SI MILITARE ADVERSUS EUM VELLENT RECUSARUNT.

Lu12

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Messaggioda giada » 17 dic 2010, 13:42

Militem neque a moribus neque a fortuna probabat, sed tantum a viribus, tractabatque pari severitate atque indulgentia. Non enim ubique ac semper, sed cum hostis in proximo esset, coercebat: tum maxime exactor gravissimus disciplinae, ut neque itineris neque proelii tempus denuntiaret, sed paratum et intentum momentis omnibus quo vellet subito educeret. Fama vero hostilium copiarum perterritos non negando minuendove, sed insuper amplificando ementiendoque confirmabat. Itaque cum expectatio adventus Iubae terribilis esset, convocatis ad contionem militibus: 'Scitote,' inquit, 'paucissimis his diebus regem adfuturum cum decem legionibus, equitum triginta, levis armaturae centum milibus, elephantis trecentis. Proinde desinant quidam quaerere ultra aut opinari mihique, qui compertum habeo, credant; aut quidem vetustissima nave impositos quocumque vento in quascumque terras iubebo avehi.'

Delicta neque obseruabat omnia neque pro modo exequebatur, sed desertorum ac seditiosorum et inquisitor et punitor acerrimus coniuebat in ceteris. ac nonnumquam post magnam pugnam atque uictoriam remisso officiorum munere licentiam omnem passim lasciuiendi permittebat, iactare solitus milites suos etiam unguentatos bene pugnare posse. nec milites eos pro contione, sed blandiore nomine commilitones appellabat habebatque tam cultos, ut argento et auro politis armis ornaret, simul et ad speciem et quo tenaciores eorum in proelio essent metu damni. diligebat quoque usque adeo, ut audita clade Tituriana barbam capillumque summiserit nec ante dempserit quam uindicasset.

Quibus rebus et devotissimos sibi et fortissimos reddidit. Ingresso civile bellum centuriones cuiusque legionis singulos equites e viatico suo optulerunt, universi milites gratuitam et sine frumento stipendioque operam, cum tenuiorum tutelam locupletiores in se contulissent. Neque in tam diuturno spatio quisquam omnino descivit, plerique capti concessam sibi sub condicione vitam, si militare adversus eum vellent, recusarunt




Non giudicava un soldato nè dai costumi nè dalla sorte, ma soltanto dalla forza fisica, e si comportava con eguale severità e benevolenza. Infatti non costringeva all'obbedienza dovunque e sempre, ma solo quando il nemico fosse nelle vicinanze: allora infatti (era) un severissimo sostenitore della disciplina, tanto che non preannunciava il momento nè della marcia nè della battaglia, ma conduceva all'improvviso (l'esercito) preparato e al meglio della tensione in ogni momento dove volesse. D'altra parte incoraggiava gli uomini spaventati dalla fama delle truppe nemiche non negandola o sminuendola, ma amplificandola all'eccesso e mentendo. Dunque, poichè l'attesa dell'arrivo di Giuba era angosciosa, convocati i soldati in assemblea, disse: "Sappiate che fra pochissimi giorni il re verrà con dieci legioni, trentamila cavalieri, centomila soldati armati alla leggera e trecento elefanti. Dunque certi uomini smettano di cercare altre informazioni o di far congetture e credano a me, che lo so con certezza; oppure ordinerò certamente che, imbarcati su una nave vecchissima, siano portati da qualunque vento verso qualsiasi terra.

Non faceva caso a tutti i loro difetti, ai quali non proporzionava mai le punizioni, ma quando scopriva disertori e sediziosi e doveva punirli, allora prendeva in considerazione anche il resto. Non di rado, dopo una grande battaglia, conclusasi con la vittoria, condonato ogni incarico di servizio, concedeva a tutti la possibilità di divertirsi, perché era solito vantarsi che «i suoi soldati potevano combattere valorosamente anche se erano impomatati». Durante le arringhe che rivolgeva loro non li chiamava «soldati», ma con il termine più simpatico di «compagni d'armi». Li voleva così bene equipaggiati che li dotava di armi rifinite con oro e con argento, sia per salvare l'apparenza, sia perché in battaglia fossero più valorosi, preoccupati dal timore di perderle. In un certo senso li amava a tal punto che quando venne a sapere della strage di Titurio si lasciò crescere la barba e i capelli e se li tagliò soltanto dopo averlo vendicato.

Per tutte queste ragioni li rese fedelissimi alla sua persona, ma anche molto coraggiosi. All'inizio della guerra civile i centurioni di ciascuna legione gli offrirono, di tasca propria, l'equipaggiamento di un cavaliere, mentre tutti i soldati si dichiararono disposti a prestare i propri servizi gratuitamente, senza paga e senza rancio: i più ricchi, poi, si impegnarono al mantenimento dei più poveri. Durante la guerra così lunga nessuno di loro lo abbandonò mai e quelli che furono fatti prigionieri, quando si videro risparmiata la vita se avessero voluto continuare a combattere contro di lui, per lo più rifiutarono.

giada

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