In parte operis mei licet mihi praefari, quod in principio summae totius professi plerique sunt rerum scriptores, bellum maxime omnium memorabile quae unquam gesta sint me scripturum, quod Hannibale duce Carthaginienses cum populo Romano gessere. Nam neque ualidiores opibus ullae inter se ciuitates gentesque contulerunt arma neque his ipsis tantum unquam uirium aut roboris fuit; et haud ignotas belli artes inter sese sed expertas primo Punico conferebant bello, et adeo uaria fortuna belli ancepsque Mars fuit ut propius periculum fuerint qui uicerunt. Odiis etiam prope maioribus certarunt quam uiribus, Romanis indignantibus quod uictoribus uicti ultro inferrent arma, Poenis quod superbe auareque crederent imperitatum uictis esse. Fama est etiam Hannibalem annorum ferme nouem, pueriliter blandientem patri Hamilcari ut duceretur in Hispaniam, cum perfecto Africo bello exercitum eo traiecturus sacrificaret, altaribus admotum tactis sacris iure iurando adactum se cum primum posset hostem fore populo Romano.
Avverto il bisogno di premettere anche a questa sezione particolare della mia opera, un proemio. So bene che le dichiarazioni di intenti vengono compiute dalla maggior parte degli storici al principio di tutta la loro opera, ma io mi accingo ora a raccontare la guerra più memorabile fra quante siano state mai combattute, cioè la guerra che i Cartaginesi fecero, sotto il comando di Annibale, al popolo romano. Mai, infatti, stati o popoli più potenti vennero in conflitto fra di loro: Roma e Cartagine si scontrarono nel momento in cui erano entrambe all'apice delle loro risorse fisiche e morali; misero in campo strategie ben note perché tutte e due le potenze le avevano sperimentate nella prima guerra punica e l'esito del conflitto fu così vario e incerto che furono proprio i vincitori ad andare più spesso vicino alla rovina assoluta. L'odio con cui combatterono Romani e Cartaginesi fu quasi più forte delle forze che di spiegarono sul terreno: i primi erano infuriati perché degli sconfitti osavano ribellarsi ai vincitori, i secondi erano sdegnati per la superbia e l'avidità con cui il potere veniva esercitato sui vinti. A quanto si racconta, Annibale aveva appena nove anni quando, blandendolo come sanno fare i fanciulli, cercò di convincere suo padre Amilcare a portarlo in Spagna. Amilcare, conclusasi la guerra africana, aveva l'intenzione di condurre lì un esercito e stava compiendo un sacrificio: fece avvicinare il figlio all'altare, gli fece toccare i sacri oggetti rituali e lo vincolò con un giuramento ad essere, appena ne avesse avuto le forze, il nemico del popolo romano.