da giada » 17 mag 2011, 13:13
Phoebe silvarumque potens Diana,
lucidum caeli decus, o colendi
semper et culti, date quae precamur
tempore sacro,
quo Sibyllini monuere versus
virgines lectas puerosque castos
dis, quibus septem placuere colles,
dicere carmen.
alme Sol, curru nitido diem qui
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius.
Rite maturos aperire partus
lenis, Ilithyia, tuere matres,
sive tu Lucina probas vocari
seu Genitalis:
diva, producas subolem patrumque
prosperes decreta super iugandis
feminis prolisque novae feraci
lege marita,
certus undenos deciens per annos
orbis ut cantus referatque ludos
ter die claro totiensque grata
nocte frequentis.
Vosque, veraces cecinisse Parcae,
quod semel dictum est stabilisque rerum
terminus servet, bona iam peractis
iungite fata.
fertilis frugum pecorisque Tellus
spicea donet Cererem corona;
nutriant fetus et aquae salubres
et Iovis aurae.
condito mitis placidusque telo
supplices audi pueros, Apollo;
siderum regina bicornis, audi,
Luna, puellas.
Roma si vestrum est opus Iliaeque
litus Etruscum tenuere turmae,
iussa pars mutare lares et urbem
sospite cursu,
cui per ardentem sine fraude Troiam
castus Aeneas patriae superstes
liberum munivit iter, daturus
plura relictis:
di, probos mores docili iuventae,
di, senectuti placidae quietem,
Romulae genti date remque prolemque
et decus omne.
Quaeque vos bobus veneratur albis
clarus Anchisae Venerisque sanguis,
impetret, bellante prior, iacentem
lenis in hostem.
iam mari terraque manus potentis
Medus Albanasque timet securis,
iam Scythae responsa petunt, superbi
nuper et Indi.
iam Fides et Pax et Honos Pudorque
priscus et neglecta redire Virtus
audet adparetque beata pleno
Copia cornu.
Augur et fulgente decorus arcu
Phoebus acceptusque novem Camenis,
qui salutari levat arte fessos
corporis artus,
si Palatinas videt aequos aras,
remque Romanam Latiumque felix
alterum in lustrum meliusque semper
prorogat aevum,
quaeque Aventinum tenet Algidumque,
quindecim Diana preces virorum
curat et votis puerorum amicas
adplicat auris.
Haec Iovem sentire deosque cunctos
spem bonam certamque domum reporto,
doctus et Phoebi chorus et Dianae
dicere laudes.
Febo e Diana dea delle foreste,
splendido decoro del cielo, da venerare
e sempre onorati, esaudite le cose che desideriamo
in questi giorni solenni
in cui i versi sibillini prescrissero
che vergini e fanciulli scelti e puri
cantino un inno per gli Dei che hanno
cari i sette colli!
Sole divino, che sul cocchio luminoso dischiudi
e nascondi il giorno sempre nuovo e uguale
sorgi, e nulla maggior di Roma
Possa tu vedere!
Tu, che sai propizia fai schiudere i maturi parti
come conviene, Ilizia, e che proteggi le madri,
o che voglia essere chiamata Lucina
o Genitale.
O Diva, fa’ crescere la prole e
prospera i decreti dei Padri per le muliebri
nozze, e per la legge maritale di nuova
prole feconda,
onde il giro fissato di cento e dieci anni
riconduca i ludi e i cantici, affollati tre volte
nel chiaro giorno, e tre volte nella
notte gioconda.
Voi che veraci annunziaste, o Parche,
una volta per sempre ciò
che il fato disse, e ciò
che i sicuri eventi confermeranno, aggiungete
fati ai fatti antichi buoni già compiuti!
La terra fertile di messi e greggi
Offra a Cerere corone di spighe;
nutrano i frutti l’acque salubri
e le aure di Giove!
Placido e mite, ora che hai riposto il dardo,
ascolta, Apollo, i supplici fanciulli;
Luna, bicorne dea degli astri, ascolta
tu le fanciulle!
Se Roma è opera vostra, e se le schiere
Troiane approdarono all’etrusco
lido con l’ordine di cambiare dei e città
con un viaggio favorevole,
cui senza infamia tra le fiamme d’Ilio
il casto Enea, superstite della patria,
aprì un cammino libero per dare ai rimasti
sorte più grande,
Dei, date buon costume ai giovani sottomessi
e ai vegliardi placida quiete,
e date alla gente di Romolo la potenza,
la discendenza ed ogni gloria;
e quanto, offrendo bianchi buoi, l’illustre
sangue d’Anchise e Venere vi chieda,
egli l’ottenga, egli nell’armi altero,
mite col nemico vinto.
Già teme il Medeo la sua mano, potente
per terra e in mare, e le latine scuri;
già Sciiti ed Indi, poco fa ribelli,
chiedono leggi.
Già Fede e Pace, e Onore e il Pudore prisco
e la Virtù negletta osano tornare;
e già beata col suo corno pieno
viene l’Abbondanza.
Se Apollo, adorno dello splendido arco,
augure e amico delle nove Muse,
che ristora le membra stanche
con l’arte salutare,
guardi benigno i colli Palatini,
di lustro in lustro proroghi lo stato romano
ed il Lazio a tempi
sempre migliori,
e Diana, che possiede l’Algido e l’Aventino,
si curi delle preghiere dei quindecemviri
ed ascolti le suppliche dei giovinetti.
Io porto a casa la buona e sicura speranza
che Giove e tutti i Numi sentano questo,
io dotto nel cantare i canti di Febo
e le lodi di Diana.