da epson94 » 21 ott 2012, 14:05
Niccolò "Ugo" Foscolo nacque sull'isola greca di Zante (nota anche come Zacinto, alla quale dedicherà uno dei suoi 12 sonetti), il 6 febbraio del 1778, figlio di Andrea Foscolo (Corfù, 1756 - Spalato, 13 ottobre 1788), medico di vascello di provenienza veneziana, e della greca Diamantina Spathis (settembre 1747 - 28 aprile 1817). Era il maggiore di quattro fratelli: lo seguivano la sorella Rubina (dal nome della nonna materna) (1779-1867), e i due fratelli morti suicidi Gian Dionisio(detto Giovanni Dionigi o Giovanni; Zante, 27 febbraio 1781 - Venezia, 8 dicembre 1801) e Costantino Giovanni (detto Giulio; Spalato, 25 novembre 1787 - Ungheria 1838)[1].
Venne chiamato Niccolò in ricordo di un avo paterno, ma preferì lui stesso soprannominarsi Ugo sin dalla giovinezza. Pare che questo fosse il nome del leggendario capostipite della sua famiglia, trasferitosi da Roma nella Laguna Veneta per fondare Rialto. In realtà non è certo se i Foscolo discendessero, come dichiaravano, da un ramo decaduto dell'omonima casata di sangue patrizio[1].
Certamente la famiglia era tutt'altro che benestante: il padre era un modesto medico di origini veneziane (peraltro portato alla prodigalità), mentre la madre, pur essendo vedova del nobiluomo Giovanni Aquila Serra, era figlia di un sarto zantioto. Trascorse l'infanzia in una casetta che sorgeva di fronte alla chiesa della Beata Vergine Odigitria[1].
Del grande scrittore si sa che aveva un alto concetto di sé nonostante la condizione materiale e sociale relativamente modesta. Nel corso della sua vita fu sempre fedele ad alcuni ideali, come l'amore per la patria, la libertà, la bellezza femminile, l'amicizia, le virtù, l'arte e l'eroismo. Questi valori erano ritenuti dagli illuministi idee vane ed irreali, pure "illusioni", dando a questa parola il valore non di inganno ma di vera esigenza dello spirito. Foscolo intendeva queste illusioni come reazione al contesto caduco in cui l'essere umano era inserito. Rappresentavano virtù per le quali valesse la pena vivere. A queste il poeta aggiunse la tomba lacrimata (che lui stesso non potrà ottenere, come si profetizza in A Zacinto, in quanto morirà in Inghilterra, lontano dalla sua terra natale) e soprattutto la poesia che svolgeva una funzione eternatrice in quanto rendeva eterno e memorabile qualsiasi soggetto o elemento celebrato. Scrisse nell'Ortis:
« Illusioni! grida il filosofo. - Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele. »
(Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, lettera del 15 maggio 1798)
Come altri grandi poeti dell'epoca, fra i quali Goethe, Foscolo avvertì la scissione profonda tra gli antichi (classicismo) e i moderni (romanticismo): l'animo dei romantici tende continuamente all'armonia classica. Dal classicismo illuminista Foscolo eredita il costante bisogno di trovare un'armonia interiore, ma riesce a raggiungerla solo tramite la poesia; nella vita pratica invece Foscolo risente sempre del Romanticismo, ossia l'abbandono agli impulsi del sentimento. Nonostante ciò, vivendo nel 1700, l'età dell'Illuminismo, risente delle idee materialiste e meccanicistiche: egli crede nel concreto. L'uomo nasce dalla materia e finisce nella materia. Non crede nell'immortalità dell'anima, ma nel cosiddetto nulla eterno. Per gli illuministi quest'ideologia era causa delle loro serenità e liberazione dalle superstizioni delle religioni, Foscolo invece risente di un profondo turbamento perché non trova una ragione nell'esistenza dell'uomo. Definisce l'uomo prigioniero del mondo, dunque sarebbe meglio non nascere o, una volta nati, sarebbe bene troncare la vita con il suicidio. Il suicidio non è considerato come atto di debolezza, anzi. Come affermava anche Alfieri, è un atto eroico perché con la sua funzione catartica libera l'uomo dalle passioni e dal turbamento. Foscolo ricorderà sempre la città dove era nato e più volte canterà la sua isola natale. Egli scriveva il 29 settembre del 1808 al cugino[2] prussiano Jakob Salomon Bartholdy:
« Quantunque italiano d'educazione e d'origine, e deliberato di lasciare in qualunque evento le mie ceneri sotto le rovine d'Italia anziché all'ombra delle palme d'ogni altra terra più gloriosa e più lieta, io, finché sarò memore di me stesso, non oblierò mai che nacqui da madre greca, che fui allattato da greca nutrice e che vidi il primo raggio di sole nella chiara e selvosa Zacinto, risuonante ancora de' versi con che Omero e Teocrito la celebravano. »