Promessi sposi capitoli 1 - 8

Riassunto del capitolo I

Il racconto della vicenda da cui prende le mosse il romanzo prende l'avvio con un'ampia, minuta, realistica, visione del paesaggio in cui si colloca il paese brianzolo dove abitano Renzo e Lucia, i due promessi sposi.

Lui è un filatore di seta, orfano di padre e di madre; lei è filatrice in una filanda ma senza continuità di lavoro: vive con la madre vedova. Si dovevano sposare e il matrimonio era fissato per l'otto novembre 1628. Tutto sarebbe andato liscio, se il signorotto locale, doti Rodrigo, non si fosse incapricciato di Lucia e non avesse scommesso col cugino, don Attilio, che in tempi brevi, se ne sarebbe impadronito e l'avrebbe portata al castello. Per questa violenza egli poteva sperare nell'immunità dovuta sia al suo grado sociale sia alla connivenza del potere giudiziario e politico, alleato dei potenti.

Bisognava impedire intanto la celebrazione del matrimonio. Per questo il pomeriggio del 7 manda due bravi ad ordinare al curato don Abbondio che quel matrimonio non si deve celebrare. I due bravi si appostano all'angolo di una strada di campagna, percorsa d'abitudine dal curato. Il quale, intimidito, si dichiara pronto ad obbedire. Lo fa perché per temperamento è un pauroso; non era nato con un cuor di leone; ma obbedisce e si rassegna e si fa complice di un gesto di violenza anche perché la società nella quale viveva era violenta, ingiusta e non offriva adeguata protezione contro i soprusi dei potenti ai poveri, ai disarmati, ai miti.

A casa dove giunge affannato ed agitato confida ogni cosa alla sua serva Perpetua: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l'occasione. L'ordine impartito a lei è di non fiatare della cosa con nessuno. Lei dà qualche suggerimento, tra cui quello di avvertire il cardinale. Ma don Abbondio è troppo dominato dalla paura procuratagli da quei bravi e crede che la disobbedienza gli costerà una fucilata. La notte, che trascorre agitatissima, è difatti popolata di bravi e di archibugiate.

Riassunto secondo Capitolo

Durante la notte fra il 7 e l’8 novembre 1628, Don Abbondio si dibatte per tutta la notte fra angosci pensieri: come affrontare Renzo? E dopo aver fatto diverse ipotesi su come affrontarlo, gli sembrò meglio di guadagnare tempo, menando Renzo per le lunghe, cosicché, se lo teneva a bada per quei pochi giorni, dopo sarebbero entrati nel periodo proibito per le nozze, che per quell’anno sarebbe andato oltre l’Epifania. La mattina dell’8 novembre 1628, quando Don Abbondio si sveglia, ricapitola i disegni della notte precedente, confermandosi in essi e stette ad aspettare Renzo con impazienza. Renzo non si fece aspettare, quando gli parve l’ora di presentarsi, entrò nella casa del curato. Renzo era rimasto privo di parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta ereditaria dalla sua famiglia; professione assai lucrosa negli anni indietro. Renzo possedeva anche un poveretto che faceva lavorare e ci lavorava anche egli stesso, quando il filatoio stava fermo. Renzo comparve davanti a Don Abbondio con un cappello dalle piume colorate e col suo pugnale nel taschino dei pantaloni, domandando a Don Abbondio a che ora si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio, ma quest’ultimo fece finta d’essersene dimenticato, trovando anche le scuse di non star bene e che non aveva (e se ne assume la colpa) preparato in tempo tutti gli atti prescritti dalla Chiesa. Allora Renzo andando ad avvisare la moglie, ricapitolò tutto ciò che era successo e pensò che ci fosse sotto qualcosa; allora, durante il tragitto, vedendo Perpetua, si ferma ad attaccare bottone con lei, chiedendole di spiegargli meglio il motivo per il quale Don Abbondio non vuole maritarlo con la sua promessa Lucia. Perpetua all’inizio resiste, ma alla fine riceve da lei conferma dei propri sospetti: don Abbondio è stato minacciato da qualcuno. Allora Renzo corre verso il salotto della casa di Don Abbondio (violazione di domicilio), dove prima l’aveva lasciato, chiedendogli chi fosse colui che lo aveva minacciato. Don Abbondio fece per scappare, ma Renzo, aspettandosi quella mossa, più veloce di lui, gira la chiave e se la mette in tasca; cosi facendo, Renzo obbliga Don Abbondio di fargli il nome di colui che lo aveva minacciato: Don Rodrigo. Perpetua rientra e don Abbondio l'accusa di aver infranto il giuramento del silenzio fatto la sera prima, poi, vinto dalla febbre, si mise a letto. Durante il tragitto verso casa di Lucia, Renzo non pensava ad altro all’omicidio: avrebbe voluto correre verso casa di Don Rodrigo e afferrargli il collo. Poi ad un certo punto pensa che se Don Rodrigo aveva minacciato Don Abbondio di celebrare il matrimonio, voleva dire che Don Rodrigo aveva una certa passione per Lucia. Renzo passa davanti alla casa della sposa, dove incontrando Bettina, le ordina di prendere in disparte Lucia e di dirle di andare nella stanza terrena perché le deve parlare. La ragazza scende al piano terreno e Renzo la mette al corrente dell'accaduto, ed ella mostra di essere già a conoscenza della passione di don Rodrigo per lei. Ai due si aggiunge poi Agnese. Lucia sale a congedare le donne dicendo che il matrimonio è rimandato a causa di una malattia del parroco. Alcune di esse si recano alla canonica per chiedere conferma di quella malattia e Perpetua dice loro che don Abbondio ha un febbrone.

Riassunto del capitolo III

Il capitolo si apre con il racconto di Lucia ad Agnese e a Renzo dei suoi involontari incontri con don Rodrigo (questi, infatti, aveva avvicinato Lucia lungo la strada e aveva scommesso con un altro nobile, il conte Attilio, suo cugino, che la ragazza sarebbe stata sua). Lucia rivela poi di aver narrato l'accaduto a fra Cristoforo. Renzo e Agnese, l'uno come fidanzato, l'altra come madre, sono amareggiati dal fatto che Lucia non si sia confidata a loro. Al sentire gli episodi descritti da Lucia, Renzo viene colto da un nuovo attacco d'ira e da propositi di vendetta, ma Lucia riesce a placare le sue nuove ire. Agnese consiglia poi al giovane di recarsi a Lecco, da un avvocato soprannominato Azzecca-garbugli e gli consegna quattro capponi da portare in dono al dottore. Renzo si mette dunque in cammino verso Lecco. Lungo la strada, agitato e incollerito, dà continui strattoni ai capponi che ha in mano: le povere bestie, pur accomunate da un triste destino, si beccano tra loro. Ciò dà l'occasione all'Autore per riflettere sulla mancanza di solidarietà tra gli uomini, anche quando questi sono accomunati dalle sventure ("i quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura"). Giunto alla casa dell'Azzecca-garbugli e consegnati i capponi a una serva, Renzo viene fatto accomodare nello studio: uno stanzone disordinato, polveroso e un po' decadente in cui spiccano, alle pareti, i ritratti degli imperatori romani, simbolo del potere assoluto. Il dottore lo accoglie indossando una toga consunta che lo fa apparire decrepito quanto i mobili della stanza. Azzecca-garbugli scambia Renzo per un bravo e, per intimorirlo, legge confusamente una grida che annuncia pene severissime per chi impedisce un matrimonio. Ha qui inizio il tragicomico equivoco tra Renzo e l'Azzecca-garbugli che, credendo che il giovane si sia camuffato tagliandosi il ciuffo che contraddistingue i bravi, si complimenta con lui per la sua astuzia. A questo proposito, l'Autore non perde l'occasione per sottolineare ancora una volta l'ottusità della macchina burocratica spagnola, e ci propone frammenti di gride in cui si vieta addirittura di portare il ciuffo. Renzo nega di essere un bravo, ma l'avvocato non gli crede e lo invita a fidarsi di lui, prospettando poi una linea di difesa. Scoperto l'equivoco, Azzecca-garbugli si infuria e rifiuta ogni aiuto, mettendolo infine alla porta, poiché colpevole di un crimine all'epoca gravissimo: essere vittima, e per di più senza appoggi nobiliari. Intanto Lucia e Agnese si consultano nuovamente tra loro e decidono di chiedere aiuto anche a fra Cristoforo. In quel momento giunge fra Galdino, un umile frate laico, in cerca di noci per il convento di Pescarenico, lo stesso dove vive il padre Cristoforo. Per eludere le domande del fraticello circa il mancato matrimonio si porta il discorso sulla carestia; Galdino racconta allora un aneddoto riguardante un miracolo avvenuto in Romagna. Lucia dona a fra Galdino una gran quantità di noci affinché egli, non dovendo continuare la questua, possa recarsi subito al convento ed esaudire la sua richiesta di inviare presso di loro fra Cristoforo. A questo punto il Manzoni ci tiene a precisare che, nonostante fra Cristoforo avesse a che fare con la gente umile, era un personaggio "di molta autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno" e approfitta dell'occasione per un excursus sulla condizione dei frati cappuccini nel Seicento. Renzo fa quindi ritorno alla casa di Lucia e racconta il pessimo risultato del suo colloquio con Azzecca-garbugli. Tra Renzo e Agnese si accende una piccola discussione, subito placata da Lucia, circa la validità del consiglio di rivolgersi all'avvocato. Dopo alcuni sfoghi di Renzo ed altrettanti inviti alla calma da parte delle donne, il giovane torna a casa propria.

Riassunto del capitolo IV

La mattina seguente, piuttosto presto, padre Cristoforo esce dal convento di Pescarenico per raggiungere la casa di Lucia: attraversando la serena campagna, che ha i toni e i colori limpidi e dolci del mattino, il padre osserva con dolore i segni dell'incipiente carestia. A questo punto il Manzoni avverte il bisogno di interrompere la trama narrativa dei due promessi per dare un profilo biografico e morale del frate. Era figlio di un grosso mercante che, dopo aver faticato, s'era conquistata una grossa fortuna: lo turbava la sua origine modesta di popolano: voleva essere accettato dai nobili ed essere eguale a loro. La parola "mercante" in sua presenza era motivo di turbamento. Aveva un solo figlio, Ludovico, cui volle impartire l'educazione che era degli aristocratici. Ludovico era cresciuto fra l'opulenza, la servitù, con gli agi propri dei nobili. Dai quali, nonostante i tentativi di essere accettato, era stato sempre snobbato e lasciato da parte. Aveva però indole buona che lo portava a proteggere i poveri, e a respingere gli atti di ingiustizia e di sopraffazione. Tanto che a volte, disgustato della società, aveva meditato di farsi frate. Viveva però in una grande contraddizione: voleva essere dei nobili, ma intanto ne respingeva la mentalità e i pregiudizi. Voleva un mondo regolato da giustizia e non s'avvedeva che la vita dell'aristocrazia, cui voleva partecipare, era quella della sopraffazione. Voleva essere uomo di pace ma andava armato come i signorotti e si circondava di un corpo di guardia armata. Il fatto che diede una svolta a tutta la sua vita fu il duello che dovette sostenere in pubblica strada, lui e i suoi servi, tra cui uno che gli era molto caro e si chiamava Cristoforo, contro un signorotto prepotente ed aggressivo, circondato anche questo da alcuni bravi. Lo scontro ebbe ragion futili: il prepotente voleva che Ludovico gli cedesse il passo lungo il muro: come nobile presumeva di averne diritto. Ma questo privilegio non gli venne riconosciuto da Ludovico che nel duello, quando vide cadere il suo Cristoforo, persa la luce della ragione, infilzò l'avversario tra l'approvazione della gente che col vinto per le sue maniere brutali ce l'aveva. Come fuor di sé, Ludovico viene spinto nel vicino convento dei cappuccini: come ogni convento anche questo gode del diritto d'asilo, che concede l'immunità a tutti coloro che vi si rifugiano: non possono però uscirne. Ma in convento Ludovico medita su di sé, sui grandi temi del destino dell'uomo si converte e si fa frate. Da allora fu frate e dentro sempre lo accompagnò il desiderio di giustizia con la energica opposizione ai soprusi. Prima di iniziare la nuova vita, volle chiedere perdono al fratello dell'ucciso: lo ottenne ma la cerimonia che doveva essere di umiliazione, si risolse in un trionfo per lui.

Riassunto del capitolo V

Dalle informazioni ottenute da Agnese sul pesante intervento intimidatorio di don Rodrigo, padre Cristoforo sa tutto ormai; ma non avendo altre armi che quelle della religione, decide di affrontare il prepotente nel tentativo di dissuaderlo in nome dei principi morali e religiosi dal proposito di rapire Lucia. Dalla casa di Lucia il tratto di campagna che attraversa è per il frate motivo di costernazione: dappertutto i segni della carestia, il palazzotto del signorotto, segno di forza e di potenza, sorge tetro sulla cima di un poggio quasi come minaccioso custode della gente disseminata nei paesi sottostanti. Per il formale (anche i prepotenti sono ipocritamente pronti a rendere omaggio agli uomini di religione) ossequio che gli si deve in quanto cappuccino, padre Cristoforo non solo è introdotto nel palazzo, ma addirittura ammesso alla sala da pranzo dove don Rodrigo banchetta con alcuni ospiti: c'è il cugino Attilio, più vivace che mai, il podestà di Lecco, l'Azzeccagarbugli e altri uomini di minore rilievo. Si discute in modi frivoli di un argomento violento: dei duelli, sui quali si chiede, dato il contrasto di opinioni tra gli ospiti, il parere del frate. Questi riconferma come inalienabile la legge evangelica della non violenza. Altro argomento, questa volta politico, è quello della guerra tra Francia e Spagna scatenata in conseguenza della mancanza di un erede diretto nel ducato dì Mantova. La Francia sostiene un Gonzaga da tempo trasferitosi al di là delle Alpi e fattosi francese: altro è il candidato della Spagna. La guerra da quei loro discorsi appare come una partita di scacchi ingaggiata da due abili giocatori: da un lato il cardinale Richelieu, dall'altro il conte duca, che i commensali servilmente dicono grande ministro del re di Spagna. Alla fine si sfiora anche l'argomento della carestia. Per loro non esiste: è solo il risultato malefico dell'intervento dei fornai che imboscano la farina per ottenerne prezzi più alti. Se si dovesse giudicare della nobiltà lombarda del Seicento da questi rappresentanti accolti intorno ad una tavola, li si dovrebbe dire non solo cinici e perversi, ma insensibili e intelligenti. Ad un certo momento don Rodrigo che mal sopporta la vista di quel frate concentrato e silenzioso si decide a dargli udienza.

Riassunto del capitolo VI

Piantato in mezzo alla sala con atteggiamento di prepotente altezzosità, il più adatto a scatenare l'opposizione e la condanna del frate, don Rodrigo si degna di ascoltare la preghiera: quella di lasciare in pace Lucia e di consentire al matrimonio. Non si può dire che il frate conosca le vie tortuose e sapienti della diplomazia: le parole che adopera sono più che di preghiera, di condanna. Quando don Rodrigo esce nella battuta: Lucia, se si senta da qualcuno minacciata, venga a mettersi sotto la mia protezione, il frate scatta in toni profetistici e pronuncia un solenne "Verrà un giorno...". Non completa la frase: don Rodrigo glielo impedisce, penetrato dentro da un segreto terrore: scaccia il frate con parole in cui si mescolano paure inespresse, volgarità, minacce. La missione di padre Cristoforo si è risolta in un fallimento. Porta con sé i segni della vittoria morale, ma anche la certezza che ormai per don Rodrigo si tratta di un puntiglio, di un punto d'onore, da cui egli non si smuoverà: qualcosa sicuramente tenterà. Gliene dà conferma un vecchio cameriere del signorotto, che in segreto l'informa che si sta macchinando qualcosa di irregolare e di perverso. È un segno della provvidenza per il frate. Intanto a casa di Lucia si mette in moto con la solita fervida immaginazione Agnese. Ha un piano per realizzare il matrimonio. Sa che esiste e che resta valido il matrimonio per sorpresa: se i due promessi in presenza del curato, anche senza il suo consenso, e di due testimoni pronunciano la formula del matrimonio, questo è legittimo anche sul piano religioso. Renzo si attacca con entusiasmo a questa proposta. I testimoni sono subito trovati: i fratelli Tonio e Gervasio. Non c'è in un primo tempo il consenso di Lucia che vorrebbe prima parlarne a padre Cristoforo: se la cosa è lecita, non c'è ragione di non parlarne a lui. Ma Agnese non vuole che la cosa venga detta a lui. La discussione viene interrotta dal ritorno del frate.

Riassunto del capitolo VII

Tornato dal palazzotto di don Rodrigo, Fra Cristoforo giunge di nuovo a casa di Lucia e comunica ad Agnese e ai due promessi che, malgrado il suo intervento, don Rodrigo non intende cambiare atteggiamento. Renzo reagisce con rabbia. Uscendo, il frate raccomanda di inviare qualcuno al convento il giorno successivo, per avere nuove informazioni. Renzo, irritato dalle notizie appena ricevute e dall'opposizione di Lucia al progetto di matrimonio di sorpresa, dà in escandescenze. Alla fine Lucia cede e accondiscende (a malincuore) al piano della madre. Renzo torna infine a casa. Agnese e Renzo stabiliscono insieme i dettagli del piano di matrimonio di sorpresa, mentre Lucia resta in disparte. Seguendo le indicazioni di fra Cristoforo, Agnese invia poi al convento Menico, un ragazzino suo parente. Per tutta la mattinata, dei loschi figuri vestiti da viandanti e da pellegrini si aggirano nelle vicinanze della casa di Lucia, curiosando anche all'interno dell'abitazione. Dopo lo scontro con padre Cristoforo, don Rodrigo, furibondo per non esser riuscito ad intimorire il frate e turbato per quel "Verrà un giorno...", cammina per il palazzo al cospetto dei ritratti dei suoi avi, che sembrano rimproverarlo per la sua debolezza. Per dimenticare l'episodio il nobile esce, scortato dai bravi, per una passeggiata trionfale, durante la quale egli viene ossequiato da tutti. Tornato al palazzotto, egli viene però deriso dal conte Attilio; risentito, raddoppia allora la posta dell'infame scommessa. Dopo una notte di sonno tranquillo, don Rodrigo, dimenticati i timori suscitati in lui da fra Cristoforo, predispone con il capo dei suoi bravi, il Griso, un piano per rapire Lucia. I bravi, guidati dal Griso, cominciano le loro ricognizioni in casa di Lucia (gli strani figuri visti nella casa sono i bravi travestiti). Tornati al palazzotto, il Griso dà le ultime istruzioni ai suoi compagni. Il vecchio servitore si avvia alla volta del convento per riferire al frate circa il previsto rapimento di Lucia. Nel frattempo alcuni bravi hanno già occupato le posizioni concordate ed altri si avviano a farlo. Dopo aver preso con Agnese e Lucia gli ultimi accordi per il matrimonio di sorpresa, Renzo, assieme a Tonio e a Gervaso, si reca all'osteria e qui incontra tre individui (sono tre bravi di don Rodrigo) dal comportamento minaccioso. Renzo, durante la cena, chiede all'oste informazioni sui tre, ma l'oste finge di non conoscerli; al contrario, egli fornisce ai bravi diverse notizie su Renzo e i suoi amici. Usciti dall'osteria, Renzo, Tonio e Gervaso, vengono seguiti da due bravi, che si arrestano però, vedendo arrivare gente di ritorno dai campi. I tre passano poi a chiamare Agnese e Lucia per dare il via al matrimonio a sorpresa, e insieme si recano alla canonica, dove Tonio bussa alla porta dicendo a Perpetua di voler saldare un debito. Ancora una volta, il capitolo si conclude sul momento culminante della scena, e invita a proseguire la lettura.

Riassunto del capitolo VIII

Quella sera don Abbondio stava gustando un po' di tranquillità dopo le agitazioni dei due giorni precedenti, era immerso nella lettura di un libro e aveva incespicato nel nome di un filosofo greco di cui nulla sapeva. A questo punto Perpetua annuncia la visita di Tonio e Gervasio: Tonio voleva pagare il debito che aveva col curato e ottenere il pegno da togli. L'ora era tarda, ma era bene profittare dell'occasione: Tonio quei soldi poteva sciuparli nell'osteria. Da questo pensiero indotto don Abbondio, nonostante la diffidenza, lo lascia entrare ed ammette nello studio. Dietro, ma lui non se ne avvede, ci sono Renzo e Lucia: Agnese si è portata via Perpetua attirandola con l'argomento, per Perpetua sempre molto sensibile, del mancato matrimonio con uno dei tanti pretendenti. Quando don Abbondio alza la testa per consegnare la Polizza a Tonio, si vede davanti Renzo e Lucia: Renzo riesce a pronunciare la formula: non vi riesce Lucia travolta dal tappeto del tavolino che il curato le scaglia addosso. La confusione ora è generale: la candela è caduta per terra e s'è spenta: tutto è nel buio e nel buio i due promessi cercano di guadagnare la porta, Tonio di riprendersi la ricevuta, e Gervasio di uscire dal marasma creandone altro. Dalla stanza attigua dove s'è barricato il curato invoca l'aiuto del campana io Ambrogio, il quale improvvisamente destato suona a martello le campane svegliando il paese e sollecitandone l'aiuto contro il misterioso nemico. Intanto Menico torna a casa dal convento e quando si avvicina alla casa di Agnese è bloccato dai bravi di don Rodrigo, che erano penetrati nella casa ma l'avevano trovata vuota. A questo punto comincia il suono delle campane: ritenendosi scoperti i bravi fuggono. Scappano anche Renzo e Lucia: scappa verso il curato Perpetua e dietro le è Agnese. Il paese è in preda ad una grande agitazione: don Abbondio invita tutti a tornare a casa: il pericolo è finito. Menico sfuggito ai bravi informa Agnese, Lucia e Renzo che in casa ci sono i bravi: seguano il consiglio di padre Cristoforo che li attende nella chiesa del convento. Lucia ed Agnese si recheranno con una sua lettera di raccomandazione a Monza: saranno ospitate in un convento; Renzo con altra lettera si recherà a Milano presso il convento dei cappuccini. Comincia così il viaggio di dispersione dei tre.

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