Galli Senones qui viribus copiosis et robustis urbem Clusium obsidebant viderunt Romanorum legatos qui tunc pacis arbitri ...
I Galli Senoni, che con truppe numerose e massicce assediavano la città di Chiusi, videro combattere tra i Chiusini gli ambasciatori dei Romani, che in quel tempo erano venuti in qualità di arbitri della pace.
I Galli, incolleriti, abbandonano l'assedio della città, e con tutte le truppe si dirigono a marce forzate verso Roma. Il console Fabio li ricevette con le truppe, ma tuttavia non li fermò, anzi, l'esercito ostile dei Galli abbatté e mise a terra i Romani per così dire come frumento secco. Il fiume Allia mantiene il ricordo della disfatta di Fabio, così come il Cremera (mantiene il ricordo della disfatta) dei Fabii.
I Senoni invadono Roma ormai priva di difensori, entrano nella Curia e massacrano i senatori, i quali stavano seduti sui loro seggi e difendevano l'onore Romano. Poi chiudono d'assedio tutto il resto della gioventù, la quale stava nascosta sulla rocca del monte Campidoglio, e lì logorano e mettono in ginocchio le sventurate rimanenze con la fame, la malattia, la disperazione e la paura. I Galli, stancati dalla strage, se ne vanno, e lasciano un orrendo cumulo di rovine; il terrore scuoteva gli animi da tutte le parti, anche i silenzi spaventavano, perché il vuoto nei luoghi aperti è fonte di paura.
Allora i Romani cambiarono alloggiamento, pregarono Giove e i loro dèi, andarono ad abitare un'altra città, ma il dittatore Camillo, che era capo dei Romani, vietò la migrazione in un altro luogo e salvò la patria.