I limiti dell'elegantia - Agite versione latino Gellio

"Elegans" homo non dicebatur cum laude, set id fere uerbum ad aetatem M- Catonis uitii non laudis fuit....

Elegante" non si diceva di un uomo per lodarlo, ma fin quasi ai tempi di Catone quel vocabolo aveva significato di riprovazione, non già di complimento.

E possiamo notare ciò, così come in molti altri scrittori, nel libro di Catone che si intitola Sentenze sui costumi1 Le testuali parole sono: "Riteniamo che avidità comprendesse tutti i vizi; il lusso, la cupidigia, Velegantia, la lussuria, la vanità, venivano tenute in pregio" dalla quale frase appare che elegans era detto nei tempi antichi chi aveva non un carattere raffinato, ma una eccessiva singolarità e stravaganza nel vestire e nel mangiare.

Successivamente il termine "elegante" cessò di aver significato di riprovazione, ma non acquistò valore di elogio, a meno che la elegantia fosse assai moderata. Così Marco Tullio diede lode a Lucio Grasso e a Quinto Scevola non per la sola elegantia, ma anche perché era accompagnata da grande frugalità. Dice: "Crasso era il più semplice fra gli eleganti, Scevola il più elegante fra i semplici". Ho poi notato qua e là nello stesso libro di Catone: "era costume" dice "di andar vestiti nel Foro onestamente, a casa propria quanto bastava.

Spendevano più per i cavalli che per i cuochi. L'arte poetica non era apprezzata. Se qualcuno vi si dedicava o frequentava i banchetti, era chiamato "parassita"

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