Gavio di Consa
Incipit: Ipse inflammatus scelere et furore in forum venit; ardebant oculi, Fine: infelici et aerumnoso, qui numquam istam pestem viderat, comparabatur.
Egli stesso, arrivò in senato infiammato da scellerato furore; gli occh ardevano, la crudeltà traspariva da tutto il volto.
Tutti erano in attesa di vedere fino a che punto, in conclusione, si sarebbe spinto o cosa mai avrebbe fatto, quando all'improvviso ordina che l'uomo venga trascinato e denudato nel mezzo del foro e legato e (ingiunge] che siano preparate le fruste. Quel poveretto continuava a gridare di essere un cittadine romano, cittadino del municipio di Consa; di aver prestato servizio militare con L. Recio, illustrissimo cavaliere romano, e che aveva affari a Palermo, e che da lui stesso Verre avrebbe potuto sapere quelle notizie.
Ma costui affermò di aver scoperto che quello era stato mandato in Sicilia dai comandanti dei fuggitivi per spiare; ma di questa notizia nessuno aveva alcuna accusa ufficiale o una traccia o alcun sospetto; quindi ordina che l'uomo sia percosso assai violentemente in ogni parte del corpo. Veniva fustigato in mezze alla piazza di Messina un cittadino romano, oh giudici, e mentre quell'infelice veniva straziato sotto i colpi scroscianti, non si udiva un gemito ne altro grido se non questo: "Sono un cittadino romano!". Pensava che ricordando di essere cittadino romano, potesse evitare ogni flagellazione e allontanare ogni supplizio dal proprio corpo.
Non solo egli nor raggiunse questo scopo, e cioè di allontanare da sé le frustate ma, mentre più implorava e ripeteva di essere cittadino romano, la croce, la croce - dico - veniva preparata per quell'infelice e quel disgraziato, che mai aveva visto un simile orrore.