L'importanza della musica nel mondo antico - Quintiliano versione latino
L'importanza della musica nel mondo antico versione di latino di Quintiliano traduzione dal libro Callidae Voces Pagina 60 numero 2
Nam quis ignorat musicen, tantum iam illis antiquis temporibus non studii modo verum etiam venerationis habuisse ut idem musici et vates et...
Traduzione
Chi ignora infatti che la musica, già in quei tempi antichi non solo era ritenuta oggetto di studio, ma anche di venerazione così che i musicisti Orfeo e Lino, erano considerati allo stesso modo che profeti e saggi:
dei quali entrambi si tramanda alla memoria dei posteri che fossero generati da divinità, il primo, addirittura, poiché con l’ammirazione addolciva animi rozzi e barbari, che spostasse anche le rocce e le foreste. Così anche Timagene sostiene che di tutte le arti letterarie la musica è la più antica, e vi sono a riprova famosissimi poeti, negli scritti dei quali (leggiamo che) nei banchetti dei re venivano cantate al suono della cetra le glorie degli dei e degli eroi. Ebbene nessuno avrebbe dubitato che studiosi famosi in nome della sapienza sono stati musicisti, dato che Pitagora e i suoi seguaci hanno resa nota l’opinione, che il mondo stesso è stato creato con la legge che poi è stata riprodotta dalla cetra, cosa che chiamano armonia, attribuirono un suono a quei movimenti.
Infatti Platone non può essere compreso, sia in alcune altre opere sia soprattutto nel Timeo, se non da coloro che hanno appreso correttamente anche questa parte di scienza. Si racconta che i più grandi condottieri suonavano sia le cetre che i flauti, e gli eserciti degli Spartani (erano) infiammati dai suoni della musica. Cosa di diverso, del resto, fanno nelle nostre legioni i corni e le trombe? Quanto più forte è la musica, tanto più il valore romano supera gli altri nelle battaglie. Ancora mi pare di dover elogiare la più bella tra le arti, ma non ancora doverla ricollegare all’oratore.
Da lì anche quell’usanza, che nei banchetti, dopo la cena, si portasse intorno la cetra, della quale Temistocle si confessa ignorante, per usare le parole di Cicerone “ non istruito in quest’arte”. Ma fu costume anche degli antichi Romani suonare cetre e flauti durante i banchetti: anche i versi dei Salii hanno un canto. Tutte queste cose, poiché sono state istituite dal re Numa, rendono chiaro che neppure a coloro che sembrano rozzi e bellicosi è mancato l’interesse per la musica, quanto ne consentiva quel periodo.