Cicerone scrive alla moglie e ai figli dall'esilio - Codex
O me perditum, o afflictum! Quid enim? Nunc te rogem ut venias, mulierem aegram...
Oh me perduto! Oh me sventurato! Che cosa farò? Dovrei chiederti di venire, donna sofferente sia nel corpo che nell'animo?
Dunque dovrei stare senza di te? Farò così: se c'è speranza di un nostro ritorno, rafforzala e favorisci la cosa. Se poi, come io temo, non è possibile, fai in modo di venire da me, in qualunque modo tu possa. Cosa farà la mia piccola Tullia?
bisogna provvedere alla dote e al matrimonio di quella miserella. Cosa? Cosa farà il mio Cicerone? Costui vorrei proprio che fosse sempre nel mio grembo, e nel mio abbraccio. Ormai non posso scrivere ulteriori cose: il dolore me lo impedisce. Non so che cosa tu abbia fatto: se tu mantenga qualcosa o se, come temo, tu sia stata del tutto spogliata.
Ora, me sventurato, quando riceverò una tua lettera? Chi me la porterà? State bene, o mia Terenzia, moglie fedelissima e buonissima, e mia cara figliola, e tu, Cicerone, nostra residua speranza. Statemi bene.
Versione tratta da Cicerone