In senato viene letta una missiva di Aderbale
Itaque quintum iam mensem socius et amicus populi Romani ...
E così già da cinque mesi assediato in armi sono trattenuto come amico ed alleato del popolo romano, e non mi sono d'aiuto né i benefici di mio padre Micipsa né i vostri decreti.
La mia sorte mi dissuade dallo scrivere di più in merito a Giugurta; e già prima avevo sperimentato che c'è poca fiducia per i miseri. Infatti inizialmente Giugurta uccise mio fratello Iempsale, poi mi espulse dal regno paterno. Ora occupa con le armi il vostro regno; assedia me, vostro alleato, dopo avermi accerchiato; di quanto valore abbiano avuto successo le parole dei legati, lo attestano i miei pericoli.
Cosa resta, se non la vostra forza, per poter essere mosso? Infatti io in verità vorrei che le mie parole fossero vane; ma dato che sono nato per essere di dimostrazione dei delitti di Giugurta, non cerco di allontanare ormai con le preghiere la morte né le tribolazioni, soltanto il potere del nemico e le torture fisiche.
Riflettete sul regno della Numidia, che è vostro; strappatemi dalle mani empie. Letta a voce alta tale missiva, vi furono quelli che ritennero che bisognasse inviare l'esercito in Africa; sollecitarono anche affinché frattanto si deliberasse in merito a Giugurta, dato che non aveva obbedito ai legati.
Versione tratta da Sallustio