Lepido chiama i Romani all'azione
Agundum atque obviam eundum est, Quirites, ne spolia vostra penes illum sint, non prolatandum neque votis paranda auxilia....
Bisogna reagire, cittadini, se non volete che le vostre spoglie restino in mano loro! Non bisogna rimandare, non bisogna cercare aiuto negli dei.
Vi illudete forse che Silla ormai provi noia o vergogna della sua tirannide, e che rinunci più pericolosamente a ciò che scelleratamente ha arraffato?: egli si è spinto tanto avanti, che niente ormai ritiene glorioso se non ciò che sia sicuro; e considera onorevole solo tutto ciò che vale a conservargli il dispotismo. Perciò, di quella famosa tranquillità e pace, congiunta a libertà, che molte persone per bene preferivano ad una vita faticosa, accompagnata però da onori, non c'è proprio traccia.
E un momento, questo, cittadini, in cui bisogna o servire o dominare, o aver paura o incuterla. Che altro si aspetta? Quali leggi umane sopravvivono? quali divine non sono state violate? Il Popolo Romano, sino a poco fa signore delle genti, ora, spogliato della sua sovranità, della sua gloria, dei suoi diritti, messo nell'impossibilità di un'autentica vita, oggetto di disprezzo, non ha più neppure ciò di cui si nutrono gli schiavi. A gran parte dei nostri associati, a gran parte del Lazio, per il capriccio di un solo uomo viene tolto quel diritto di cittadinanza che voi avevate dato loro in cambio di molte e straordinarie benemerenze.
Un pugno di satelliti, in compenso dei suoi crimini, ha occupato le dimore di una plebe innocente. Nelle mani di un sol uomo stanno le leggi, i tribunali, le casse dello Stato, le province, i regni, persino il libero arbitrio di vita e di morte sui cittadini.