Dove è finito il mos Maiorum - LIBRO FRUGES versione latino Cicerone
Dove è finito il mos maiorum Cicerone versione latino Fruges
"Moribus antiquis res stat romana virisque", quem quidem ille versum, vel brevitate vel veritate tamquam ex oraculo mihi quodam esse effatus videtur....
"Uomini e virtù antiche salvano Roma". Questo verso, nella sua brevità e verità, sembra essere stato pronunciato da un oracolo poichè, se la città non avesse serbato i costumi che ha serbato, non avrebbe gli uomini che ha, e la città non avrebbe serbato i costumi che ha senza gli uomini che la governano e non sarebbe stato possibile fondare e conservare così a lungo un così grande e vasto impero. Così, prima della nostra età, il costume tradizionale educava uomini eccellenti e gli uomini eccellenti tramandavano il costume e gli istituti dei maggiori.
Ma la nostra età, avendo ricevuto uno Stato perfetto come un quadro ma già un pò scolorito dalla vecchiaia, non solo non si curò affatto di rinfrescare i colori ma non pensò neppure a conservare almeno il disegno e le linee principali dell'opera. Che cosa rimane dunque di quegli antichi costumi su cui, secondo Ennio, era fondata la potenza di Roma? Noi li vediamo talmente trascurati e dimenticati che non solo nessuno li rispetta ma nessuno li conosce più. E che dirà poi degli uomini?
I costumi stessi infatti caddero per mancanza di uomini, e di questa disgrazia non solo dobbiamo renderci conto ma dobbiamo risponderne come d'un delitto capitale. Per colpa nostra infatti, e non per caso, noi abbiamo ancora in apparenza una repubblica ma, vero, l'abbiamo già perduta.
Note letterali:
Con l’espressione mos maiorum (letteralmente “il costume degli antenati) i Romani indicavano quel complesso di valori e di tradizioni che costituivano il fondamento della loro cultura e della loro civiltà.
Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto, in marcia verso la realizzazione di un grande progetto comune. Il mos maiorum era, in altri termini, l’insieme dei valori collettivi e dei modelli di comportamento cui doveva conformarsi qualsiasi innovazione; rispettare il mos maiorum significava quindi incanalare le energie e le spinte innovative entro l’alveo rassicurante della tradizione, così da renderle funzionali al bene comune. Cardine fondamentale del mos maiorum era l’assoluta preminenza dello Stato sul singolo cittadino: questa è l’ottica da cui va esaminato qualunque valore e qualunque comportamento;
così ad esempio, non era tanto il coraggio in sé ad essere apprezzato, ma il coraggio che veniva dimostrato nell’interesse e per la salvezza dello Stato; allo stesso modo, poco interessava la ricerca teorica o l’abilità poetica, se tali qualità non erano finalizzate ad obiettivi socialmente utili. In tale prospettiva, quali sono i valori fondamentali che costituiscono il mos maiorum? Anzitutto viene la virtus, cioè la qualità propria dell’uomo grande, del vir appunto; essa si esprime come fortitudo (coraggio e sprezzo del pericolo), come patientia, cioè come capacità di sopportare il dolore e i rovesci della sorte (il verbo patior significa appunto “soffrire, sopportare”) e come constantia, cioè fermezza e coerenza nell’azione.
Molto importanti sono poi la fides, cioè la lealtà, la fedeltà alla parola data; la pietas, cioè il rispetto per gli obblighi e i doveri che ci legano agli altri (agli dei, agli amici, alla patria, alla famiglia…); la gravitas e cioè la dignità propria del magistrato, ma anche del semplice civis (“cittadino”), che imponeva un contegno severo, poco incline al sorriso. Questi valori venivano trasmessi, oltre che con l’esempio, anche attraverso alcuni racconti di cui erano protagonisti personaggi vissuti nell’epoca più antica di Roma, la cui esistenza è spesso sospesa tra mito e storia.