La peste dilaga in Siracusa e tra i Romani assedianti.
Mentre molte cose distoglievano facilmente gli animi dei Siracusani e i nostri dai propositi di guerra, si aggiunse a queste anche la peste, male comune.
Infatti, poiché ormai iniziava la stagione dell'autunno e dato che non sopraggiungevano le piogge, l'insopportabile forza del caldo, infiacchì i corpi di quasi tutti in entrambi gli accampamenti e colpiva gli uomini più fuori città che nella città. La cura stessa e il contatto degli ammalati diffondeva le malattie al punto che i malati, i trascurati gli abbandonati, uccidevano oppure trascinavano con sé coloro che (li) assistevano e curavano, infettati dalla stessa forza della malattia.
Davanti agli occhi c'erano sia funerali quotidiani sia morte e dappertutto, giorno e notte si udivano lamenti. Alla fine per questa abitudine del male gli animi di tutti furono abbrutiti al punto che, disprezzate le lacrime e il giusto lamento, ormai non venivano più celebrati funerali dei defunti e non li seppellivano neppure e che i corpi giacevano esanimi sul pavimento sotto lo sguardo di molti, che attendevano una morte simile, (al punto che) i defunti consumavano con il dolore i malati, i malati (sfinivano) quelli sani, con la putrefazione e con l'odore pestilenziale dei corpi.