Marcus Quinto fratri salutem. Mi frater, mi frater, mi frater, tune id veritus es, ne ego iracundia aliqua adductus ...

Marco dice salve al fratello Quinto. Fratello mio, fratello mio, fratello mio, forse tu hai temuto ciò: che io, spinto da qualche sdegno, ti avrei inviato degli schiavi senza una lettera, o che non avrei neppure voluto vederti?

Io ce l'avrei con te? Potrei io avercela con te? Quel mio famoso, celebrato consolato mi ha portato via te, i figli, la patria, gli averi; ed io voglio che a te non abbia portato via nient'altro all'infuori di me. Io non vorrei vedere te? Per la verità io non ho voluto essere visto da te! Infatti tu non avresti visto tuo fratello, non quello che avevi lasciato, non quello che avevi conosciuto, neppure una traccia avresti visto di lui, neppure la sagoma, bensì una certa figura di un morto che respira.

E magari tu mi avessi visto o saputo morto prima, magari io avessi lasciato te come testimone non solo della mia vita, ma anche del mio ruolo! Fratello mio, perché ti dovrei raccomandare la figlia mia e tua, ed il nostro caro Cicerone (nel senso: "non è necessario che io ti raccomandi...")? Per le cose che rimangono, possa essermi concesso un po' di serenità e la possibilità di morire in patria.

Vorrei che tu proteggessi anche Terenzia, e che mi rispondessi in merito a tutte le questioni. Alle Idi di Giugno, Tessalonica.

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