Didone innamorata
Est molles flamma medullas et tacitum vivit sub pectore vulnus. Uritur infelix Dido...interrupta minaeque murorum ingentes atque aequata machina caelo.
La fiamma (della passione amorosa) è dolce e la (sua) ferita vive silenziosa nel cuore. L'infelice Didone brucia come cerva ferita da una saetta, che un pastore, lontano, che conduceva le greggi tra le boscaglie di Creta ha trafitto e ha lasciato, inconsapevole, la volante saetta nella piaga;
mentre fugge percorre i boschi e i passi cretesi, ma la letale saetta resta conficcata nel fianco. Ora conduce con sé Enea attraverso le mura e gli fa vedere le fortificazioni fenicie e la città allestita, inizia a parlare e la voce nel mezzo le fa resistenza; ora per la stessa via, al calar del giorno, ricerca i banchetti, e folle desidera ascoltare di nuovo le fatiche e pende di nuovo dalla bocca di colui che le racconta.
Dopo, quando si sono ritirati, e la luna a propria volta oscurandosi cela la luce e le stelle inducono al sonno, rimane sola e soffre nella casa vuota e lasciato il letto giace. Ascolta e vede lui che è assente, o tiene in grembo Ascanio, che le richiama alla memoria il padre se mai possa eludere l'amore indicibile.
Intanto le torri non iniziate si innalzano, la gioventù non stimola le armi né dispone porti o fortificazioni per la guerra. Le opere interrotte e le possenti mura minacciose e le macchine belliche che sfiorano il cielo rimangono inerti.