Non vereor, ne mihi aliquid, iudices, videar adrogare si de ...
Non temo, oh giudici, che sembri che io mi attribuisca qualche merito, se avrò parlato del periodo della mia questura: non temo che qualcuno osi affermare che la questura di qualcuno in Sicilia fu più celebre o più bene accetta.
Onestamente, per Ercole, dirò ciò: all'epoca io pensavo così, che gli uomini a Roma non parlassero d'altro se non della mia questura. Avevo inviato una enorme quantità di grano in (un momento di) assoluta carestia; gentile con gli affaristi, giusto con i mercanti, magnanimo con gli impresari, disinteressato con i (miei) compagni, ero sembrato a tutti estremamente diligente in ogni incarico; dai Siciliani erano state escogitate per me alcune cariche onorifiche mai sentite (prima).
E così me ne andavo via con questa speranza, che il popolo Romano potesse conferirmi spontaneamente tutti gli onori. Ma io mentre in quei giorni, con l'occasione, partendo dalla provincia, allo scopo di fare un viaggio ero arrivato casualmente a Pozzuoli, poiché parecchi e distinti cittadini Romani sono soliti trattenersi in questi posti, oh giudici, per poco non caddi a terra dalla delusione, dopo che un tale mi chiese in che giorno fossi partito da Roma e se per caso ci fosse qualcosa di nuovo.
Dopo che gli ebbi risposto che venivo dalla provincia, disse: "Certamente, per Ercole, dall'Africa, mi sembra!". E io, ormai già irritandomi fastidiosamente, gli risposi: "Veramente dalla Sicilia". Allora, un tale, come se sapesse tutto, disse: "Come, tu non sai che costui è stato questore a Siracusa?" Perché dire altro? Smisi di irritarmi e mi considerai uno di quelli che erano venuti per le terme.