Zenon Eleatis cum esset in dispicienda rerum ...
Zenone di Elea, poiché era della massima attenzione nell'osservazione della natura e molto risoluto nello spronare all'eroismo gli animi dei giovani, rese manifesta a tutti l'attendibilità dei (suoi) insegnamenti con un esempio di virtù personale.
Infatti dalla patria, all'interno della quale poteva godere di una tranquilla libertà, partì per raggiungere Agrigento, che all'epoca era oppressa da una tristissima schiavitù, ritenendo di dover alleviare la crudeltà del tiranno Falaride.
Ma quando comprese che in quello l'abitudine al comando aveva più potere dei buoni consigli della filosofia, infiammò di desiderio di liberare la patria i giovani più nobili di quella città. Saputa questa cosa, il tiranno Falaride convocò il popolo nel foro e – orribile a vedersi – cominciò a tormentare Zenone con vari tipi di tortura, chiedendo ripetutamente chi avesse mai come complici nel piano.
Ma egli non nominò qualcuno di loro, e rese sospetto al tiranno ciascuno dei (suoi) più intimi e fidati; e rimproverando agli Agrigentini l'ignavia e la pavidità, fece sì che all'improvviso i cittadini, spinti da un moto di spirito, abbattessero Falaride con le pietre.