La favola del topo di campagna e del topo di città I e II - Navigare versione latino
La favola del topo di Campagna e del topo di città
versione latino traduzione libro Navigare
PARTE I
Olim rusticus mus cum in paupere hospitio suo veterem amicum accepisset, qui ...
PARTE II
Placuit consilium rustico muti, qui, his dictis pulsus, cum comite in urbem ...
Traduzione parte I
Una volta un topo di campagna avendo accolto in uno scarso riparo un suo vecchio amico, che viveva in città, lo invitò a cena e servì all'ospite in un'umile tavola legumi messi da parte e una lunga biada.
Ma invano offrì acidi secchi e lardi mangiucchiati a lui e li porse alla sua bocca.
Il topo di città, a cui era sgradito il cibo, assaggiava nauseato l'umile cibo a malapena e lo disprezzava. Infine l'urbano disse lui: "Perchè amico conduci una vita tanto misera nelle campagne? Con che animo tolleri tanta fame e sete pazientemente? Perchè preferisci le foreste alla città?
Se verrai in città con me, lì troverai grande abbondanza di cibo dolce e delizioso. Credi a me, compagno, finchè è lecito vivi beato in cose allegre: perché la vita è breve!"
Traduzione parte II
La decisione piacque al topo di campagna, che, spinto da queste parole, si trasferì in città con il compagno.
A metà della notte entrano in una bellissima casa, nella quale coperte tinte con stoffa rossa risplendevano sopra letti d'avorio e molte vivande da una grande cena erano state poste in ceste. L'ospite agitato corre avanti e indietro e porge all'amico ininterrottamente vivande assaggiando prima tutto ciò che offre, e spesso chiede:
« Ti è gradita la cena? Non è forse la vita di città più felice di quella di campagna?». Mentre quello, stando sdraiato, gioiva della sorte cambiata, all'improvviso un forte rumore di battenti li fece balzare dai letti: essi impauriti correvano per tutta la stanza e senza fiato trepidavano mentre l'alta casa risuonava di latrati di cani. Allora quello di campagna disse:
«Stammi bene, amico, rimani in città con codesti beni. Io ritorno fra i boschi alla mia tranquilla povertà»