Marsia - Nove discere pagina 408
Minerva, postquam tibiam ex osse cervino fecerat, venit ad convivium deorum cantu eos delectatura. Sed Iuno et Venus eam irriserunt quia in tibiam inflans eius pulcher vultus foedus apparebat. ...
Minerva, dopo aver fatto un flauto con un osso di cervo, giunse al banchetto degli dèi per deliziarli con il canto.
Ma Giunone e Venere la derisero perché, soffiando nel flauto, il suo bel volto appariva sfigurato. Perciò Minerva, dopo che era fuggita nel bosco di Ida, per non essere derisa da loro, aveva visto le sue guance gonfie nello specchio della fonte, gettò via il flauto. Questo flauto lo trovò e lo raccolse Marsia, figlio di Eagro, uno dei satiri, che lo utilizzò per il canto.
Il flauto emetteva suoni dolci: allora Marsia si credette un grande musicista e con grande superbia sfidò Apollo, il dio della musica, a una gara. Apollo giunse alla gara ed invitò le Muse a essere i giudici della gara. Il dio trasse un suono dolce dalla cetra e fu giudicato vincitore dalle Muse. Apollo dunque, per non lasciare impunita l'arroganza di Marsia, lo legò a un albero e chiamò uno Scita che gli scorticò la pelle a pezzi.
Il sangue scuro, che sgorgò dal suo corpo, formò un fiume, che gli abitanti della regione chiamarono Marsia in memoria eterna di quel fatto.