L'incendio di Roma
Nero nec populo auto moenibus patriae perpercit .... in illo suo scaenico habitu Nero decantavit.
Nerone non ebbe accortezza né per il popolo né per le mura della patria. Infatti, quasi offeso dalla bruttezza degli antichi edifici e dalla strettezza e sinuosità dei vicoli, incendiò la città così apertamente che molti ex consoli non toccarono i suoi servi, sorpresi nelle loro proprietà con stoppa e fiaccole, e alcuni granai nei pressi della casa Dorata, dei quali desiderava moltissimo la superficie, furono abbattuti con macchine da guerra e dati alle fiamme perché erano stati costruiti con un muro di pietra.
Quel flagello incrudelì per sei giorni e sette notti, spingendo la plebe a cercare rifugio nei monumenti e nei sepolcri. Allora, oltre ad un immenso numero di isolati, bruciarono le case degli antichi comandanti, adornate ancora con le spoglie dei nemici, e i templi degli dei.
Nerone, contemplando lieto questo incendio dalla torre di Mecenate, cantò "La distruzione di Troia" in quel suo abito da scena.