Postquam Neroni, tricesimum et tertium aetatis annum agenti, nuntiata est etiam ceterorum ...
Dopo che a Nerone, che aveva trentadue anni, venne riferito l'ammutinamento anche di tutti gli altri eserciti, strappò la lettera che gli era stata consegnata mentre pranzava, rovesciò la tavola, sbatté a terra due coppe amatissime, e chiese a Lucusta un veleno che era stato messo in una pisside d'oro, ed era intenzionato ad assumerlo – ritengo – ma poi si spostò nei giardini Serviliani, da dove mandò i liberti più fidati ad Ostia, affinché preparassero la flotta per la fuga. Tuttavia la riflessione sulla fuga venne rimandata al giorno successivo.
Ma, risvegliato all'incirca alla metà della notte, appena apprese che la guarnigione dei soldati si era ritirata, si gettò giù dal letto e mandò a chiamare gli amici, ma poiché nessuno di loro rispondeva, andò di persona con pochi intimi a chiedere ospitalità a ciascuno di loro. Però tutte le porte erano state chiuse, e nessuno rispondeva, e così l'imperatore ritornò nella camera da letto, da dove ormai erano fuggite anche le sentinelle, dopo essersi portate via anche le coperte e aver tolto persino la pisside del veleno;
ed immediatamente stava per cercare il gladiatore Spiculo oppure un altro assassino, per mano del quale morire: però non trovò nessuno e disse: Dunque io non ho un amico e neppure un nemico? E corse, come intenzionato a gettarsi nel Tevere.