Quanto erat in dies gravior atque asperior oppugnatio et maxime quod plerique militum

Quanto più, giorno dopo giorno, l'assedio era duro ed aspro – e in particolare poiché la maggior parte dei soldati era stata ferita – tanto più frequenti venivano inviate a Cesare le lettere e i messaggeri; e questi messaggeri, catturati dai nemici, venivano uccisi sotto gli occhi dei nostri soldati.

C'era, nell'accampamento, un tale della tribù dei Nervi, di nome Vertico, nato da una famiglia importante, il quale, sin dal principio dell'assedio, si era rifugiato presso Cicerone e gli aveva giurato lealtà. Costui era uno schiavo: Cicerone, con la prospettiva della libertà e con grandi ricompense, lo persuade a recapitare una lettera a Cesare.

Egli porta fuori dall'accampamento questa (lettera) legata ad una lancia, e stando, da Gallo tra i Galli, senza (suscitare) alcun sospetto, arriva presso Cesare, il quale, viene a sapere da lui delle difficoltà di Cicerone e della legione. Cesare, ricevuta la lettera, invia immediatamente un messaggio al questore Marco Crasso, i cui quartieri invernali erano distanti da lui venticinque miglia;

ordina che la legione parta immediatamente, e che si rechi rapidamente da lui. Manda un secondo messaggio al luogotenente Gaio Fabio, affinché guidi le truppe ausiliarie nel territorio degli Atrebati, attraverso il quale egli sapeva che avrebbe marciato. A Labieno scrive di recarsi con la legione presso il territorio dei Nervi.

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