Morte di Nerone
Cum in codicillo, a liberto suo perlato, legisset se a senatu hostem iudicatum esse et more maiorum puniendum, libertum interrogavit quale esset illud poenae genus. ...«Sero». Atque in hac voce defecit, oculis exstantibus et rigentibus, magno cum horrore formidineque visentium
Avendo letto letto sulla tavoletta portata da un suo liberto che era stato giudicato nemico dal senato e (che era stato giudicato) da punire secondo il costume degli antenati, domandò al liberto che tipo di pena fosse quella.
Dopo aver saputo che era quella di inserire un forcone nella nuca di un uomo nudo e di picchiare con verghe il suo corpo fino alla morte, atterrito prese due pugnali che aveva sempre con se e, provatone il filo tagliente, li ripose di nuovo, affermando che non era ancora arrivata l’ora fatale.
Ora esortava i presenti ad iniziare a lamentarsi e a piangere, ora pregava che qualcuno, per dare l'esempio, precedesse l’imperatore nell’affrontare la morte. Di tanto in tanto criticava la propria indolenza con queste parole: “Vivo ignominiosamente, (e) turpemente”. E già si avvicinavano i cavalieri ai quali era stato ordinato di trascinarlo al senato vivo. Quando comprese questo, (gli) conficcò il ferro nella gola, con l’aiuto del liberto Epafrodito.
Ancora semivivo, disse al centurione che arrivava fingendo di venire in soccorso: “È tardi”. Ed in questa parola venne meno, gli occhi fuori dalle orbite e rigidi, con grande orrore e terrore dei presenti.