Cicerone spiega al senato il significato del suo esilio
Nolui, cum consul communem salutem sine fero defendissem, meam privatus ...
Non volli, dopo che, in qualità di console, ebbi difeso la salvezza di tutti senza ricorrere alla spada, difendere la mia salvezza da privato cittadino per mezzo delle armi, e preferii che gli uomini onesti compiangessero le mie sorti, invece che disperassero per le loro;
e sembrava che, se fossi stato ucciso da solo, sarebbe stato vergognoso per me, se fossi stato ucciso insieme a molti, sarebbe stato rovinoso per lo Stato. Poiché, se avessi giudicato che mi era stata messa di fronte una sofferenza eterna, io stesso mi sarei punito con la morte invece che con un dolore eterno.
Ma, poiché vedevo che io non sarei stato assente da questa città più a lungo della democrazia stessa, ritenni che io non dovevo rimanere se quella era stata messa al bando, e quella, appena fu richiamata, riportò parimenti me con sé. Insieme a me furono assenti le leggi, le discussioni, i diritti dei magistrati, il prestigio del senato, la libertà, anche la produttività dei raccolti, tutte le inviolabilità degli dei e degli esseri umani, e i vincoli di religione.
E se queste cose fossero state assenti per sempre, avrei compianto le vostre sorti più di quanto avrei rimpianto le mie; se invece presto o tardi fossero state richiamate, capivo che io sarei dovuto tornare insieme ad esse.
Versione tratta da: Cicerone