Timoleon, cum aetate iam provectus esset, sine ullo morbo lumina oculorum amisit ...
Timoleonte, quando si era già spinto avanti con gli anni, senza alcuna malattia, perse la vista.
Egli sopportò questa disgrazia con tanta serenità, che nessuno lo sentì mai di lamentarsi, né, per quello, partecipò meno alle attività pubbliche e private. Inoltre, dalla sua bocca non uscì mai nulla né di insolente, né di presuntuoso. Egli, peraltro, sentendo che venivano celebrate le sue lodi, non disse mai altro se non che egli, in quella questione, rendeva soprattutto grazie agli dèi. Affermava, infatti, che nessuna delle cose umane poteva essere compiuta senza il favore degli dèi. Per via della sua nobiltà d'animo, avvenne che l'intera Sicilia considerasse il suo compleanno come una festività.
A costui, un certo Lafistio, uomo saccente e irriconoscente, un giorno volle imporre la comparsa in giudizio. Poiché erano accorsi in moltissimi, che si accingevano a reprimere con la forza l'impudenza dell'uomo, Timoleonte supplicò tutti di non farlo; disse, infatti, che egli aveva affrontato le più grandi fatiche e i peggiori pericoli affinché quella cosa fosse lecita per chiunque; disse, infatti, che questa era la quintessenza della libertà: se a tutti fosse concesso di rimettere alle leggi ciò che ciascuno volesse.
Egli medesimo, quando un tale di nome Demeneto, durante un'assemblea del popolo, cominciòa togliere meriti dalle sue imprese, e rivolsealcuni insulti contro Timoleonte, disse di aver sempre chiesto questo agli dèi immortali, di (poter) restituire ai Siracusani una libertà siffatta, nella quale a chiunque fosse concesso di parlare liberamente di chiunque volesse.