La precarietà delle cose umane
Ipsae voluptates hominum trepidae et variis terroribus inquietae sunt, subitque cum maxime exultant ... sed eadem qua oriuntur, vanitate turbantur (Seneca)
I piaceri stessi degli uomini sono inquieti e turbolenti per differenti paure, e viene l’angoscioso pensiero, quando esultano al massimo grado "Per quanto tempo (ci saranno)
queste cose?" Per questo stato d’animo i re spesso piansero il loro potere, e la grandezza della loro fortuna non procurò loro piacere, ma (li) atterrì la fine che un giorno sarebbe arrivata. Mentre dispiegava l'esercito in una grande estensione di campi (aperti)
e poiché non ne abbracciava con lo sguardo la sua quantità, l'arrogantissimo re dei Persiani versò lacrime poiché entro cento anni nessuno di tanta gioventù sarebbe rimasto in vita. Ma stava per affrettare a quelli il fato proprio lui che piangeva e era destinato a perdere gli uni in mare, gli altri sulla terraferma, altri in battaglia altri ancora in fuga, e entro poco tempo avrebbe portato alla rovina quelli per i quali non sperava il centesimo anno. Perché dunque i piaceri dei potenti sono travagliati dall'ansia?
Non si appoggiano su motivi reali, ma vengono sconvolti dalla medesima vanità da cui nascono.