Luciano, Storia Vera 2.2
Τῇ δὲ ἐπιούσῃ τὸ μὲν ἤδη τεθνήκει, ἡμεῖς δὲ ἀνελκύσαντες τὸ πλοῖον καὶ διὰ τῶν ἀραιωμάτων διαγαγόντες καὶ ἐκ τῶν ὀδόντων ἐξάψαντες ἠρέμα...
Il giorno dopo, la balena - finalmente - era morta. Allora trainammo fuori la nave, facendola passare attraverso gli interstizi tra un dente e l'altro, e, calandola con delle funi fissate ai denti stessi, la deponemmo con cautela, dolcemente, sulla superficie del mare.
Saliti poi sul dorso del cetaceo e offerto un sacrificio a Poseidone lì vicino al trofeo, restammo fermi per tre giorni - era bonaccia - e al quarto riuscimmo a salpare. Nelle acque circostanti ci capitò di urtare - e di... arenarci - contro molti cadaveri dei guerrieri caduti durante la battaglia navale, e, constatando le dimensioni di quei corpi, restammo strabiliati.
Navigavamo da qualche giorno in un clima temperato ma poi, sotto le raffiche di una violenta tramontana, venne un freddo terribile, tanto che il mare gelò tutto, non soltanto in superficie ma fino a circa trecento braccia di profondità: e così, sbarcati, ci mettemmo a scorrazzare sul ghiaccio. Siccome però il vento durava, e noi non eravamo in grado di resistere a quelle temperature, escogitammo questo stratagemma - fu Scintaro, per la verità, a lanciare l'idea -: scavata un'enorme caverna nel ghiaccio, rimanemmo lì dentro al riparo per trenta giorni, riattizzando il fuoco di continuo, e nutrendoci dei pesci che trovavamo scavando nel mare gelato.
Ma quando i viveri furono esauriti, usciti dal nostro rifugio, disincagliammo la nave prigioniera dei ghiacci, e spiegammo le vele: così scivolando con estrema facilità sulla superficie levigata del ghiaccio, filavamo come se navigassimo. Dopo quattro giorni tornò il caldo, cominciò il disgelo e a poco a poco tutto ridivenne acqua.
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