Leonida di Taranto (Epigrammi)
Epigramma 1
La cintura frangiata e la camicia Attis appese, quale offerta a te, sulle porte del tempio, figlia di Leto: tu disciogliesti dal suo gonfio ventre con le doglie del parto il figlio, vivo.
Epigramma 2
A Pallade Theris, il falegname, smessa l'arte, dedicò la sua riga non flessibile e la sega ben tesa nel telaio, curva sul dorso, e l'ascia e la pialla e il trapano che gira perforando.
Epigramma 3
Dei falegname Leontico gli arnesi: le lime aguzze, le veloci seghe, le squadra e gli archipenzoli miniati e i martelli a due colpi e i regoli dai freghi, qua e là, rossi e i trivelli forniti di corregge, e l'arnese che lucida, e l'ascia con il manico pesante - signora del mestiere - e i trapani che agevoli perforano, e i rapidi succhielli e questi quattro punteruoli per chiodi, e la scure a due tagli. Questi arnesi, lasciando l'arte sua, egli offerse ad Atena protettrice.
Epigramma 4
E già salpando il nobile Aristocrate per l'Acheronte, disse, portandosi la mano al capo effimero: - L'uomo sposi una donna, e abbia figli, anche se lo tormenta la miseria: si puntelli la vita. Casa senza colonne è sempre brutta; anche quando meschino è il focolare, se forte di colonne, appare ricco; e assai bene il tizzone che scoppietta, può misurarsi col lusso bruciante. Sì, sapeva Aristocrate che giova, ma odiava, o uomo, perfide!, le donne.
Epigramma 5
Quali ossa racchiudi nel tuo buio, o tumulo, e tu, terra, quale corpo inghiottisti! Aristòcrate, amato dalle Grazie, e che tutti vivamente ricordano. Con che dolcezza egli parlava al popolo, non contraendo mai il sopracciglio, autentico signore! E nei festini sapeva, tra bicchieri generosi, mantenersi, parlando, contegnoso. Sapeva anche fare opere grate ai cittadini e insieme agli stranieri. Tale estinto racchiudi, o terra amabile!
Epigramma 6
Sia larga, sia profonda, navigando, non ti fidare mai della tua nave: le spezza tutte il vento; il vento che anche Pròmaco assalì; e ondata enorme giù nel cavo mare oppresse i marinai. Ma non dovunque avverso gli fu il fato; che anzi, là, nella terra del padri, egli ebbe tomba e funebri onoranze da parte dei congiunti, appena il mare rotolò sulla spiaggia il corpo esanime.
Epigramma 7
Theris, tre volte vecchio, che viveva pescando con le nasse, più agile nel nuoto di uno smergo, il predone di pesci, molto abile nel gettare le reti, e scrutare le grotte sotto il mare, e manovrare i remi della barca, già non Arturo uccise col suo vento, né la tempesta infranse i suoi molti anni. Nella capanna d'intrecciati giunchi la lunga età lo spense, come lume. E fu la società dei pescatori: e non la moglie, o i figli, gli innalzarono questo monumento.
Epigramma 8
Se anche su di me, o viandante, pietra tombale è stata collocata, piccola e alzata appena sulla terra, loda pure Filénida, mio caro. Con ogni cura, per due anni, amò me, grillo canterino. E prima me ne stavo tra gli spini, e molto egli godeva al canto mio che dentro gli stillava molle sonno. E non mi trascurò neppure morto: mi pose sopra, vedi?, breve pietra a ricordo del mio gracile trillo.
Epigramma 9
Fuggitiva dai seni della madre, e ancora grondante di spuma, Cypris, che appresta il letto nuziale, Apelle ha dipinto: è tanto bella che non sembra dipinta, ma creatura. E si tocca i capelli con le dita, e dolce brama le fa caldi gli occhi; nunzie di giovinezza, mele cotogne sono le mammelle. Diranno Atena e la moglie di Zeus: - Ci perdiamo in bellezza.
Epigramma 10
Cacciatore di lepri, in bocca al lupo! E, se vieni col vischio ad uccellare, dal fondo della valle tra i due monti manda un grido anche a me, Pane, custode dei boschi: con un salto dal dirupo sarò pronto con cani e con bacchette.
Epigramma 11
Il sole fiammeggiante rotando discolora le stelle e il sacro disco della luna. Poeti a torme Omero dissolve, alzandosi, splendore delle Muse.
Epigramma 12
Via, fuggite dal mio cupo tugurio, topi, amici dei buio! E' povera la madia di Leonida, non sfama neanche un topo. Contento è il vecchio di un poco di sale e due pagnotte: apprese dagli avi a vivere così; dunque, a che frughi questo buco, goloso, se non resta neanche una briciola per te? Va': cerca in altre case - la mia è magra -; di là tu porterai di che sfamarti.
Epigramma 13
La guarnizione della parte destra l'ha ricamata Bittion per la lunghezza di un'intera spanna; l'altra, l'ha ricamata Antianèira; il Meandro, nel centro, con le vergini, lo ha ricamato Bìtie: figlia di Giove, Artemide bellissima, abbi a cuore il ricamo di tre fanciulle in gara.
Epigramma 14
Quante notti, a scacciare la miseria, passò la vecchia Plattis alla rocca e al fuso, compagno di lavoro! E canticchiava, già vicina a morte, e faceva su e giù presso il telaio, caro ad Atena, insieme con le Cariti, fino all'aurora; e il lavorato filo con le mani grinzose sul ginocchio appassito attorcigliava per il telaio, come deliziosa! E giunta a ottanta anni, la vecchietta, dopo avere tessuto tanta tela, vide i gorghi dell'acqua acherontea.
Epigramma 15
Dedicarono a te i tre fratelli, o Pane campagnolo, queste reti, ciascuno per un genere di caccia. Queste, Pigrete, per gli uccelli; Damis queste, per caccia grossa; ultimo, Cléitor, per i pesci. In ricambio, manda al primo uccelli da colpire su per l'aria; all'altro selvaggina per i boschi; a Cléitor manda pesci lungo il mare.
Epigramma 16
Il curvo amo e le lunghe aste e la lenza e i canestri del pesce, e questa nassa da marinai, che gettano le reti, e l'aspro arpione, arma o; Posèidone, e i remi a coppia ai fianchi della barca: questi avanzi del suo mestiere antico, il Pescatore Diòfanto al protettore, grato, dedicò.
Epigramma 17
Nella notte d'inverno, colma di neve, e percossa da grandine impetuosa, un leone, senza uguale nella razza, entrò spossato nella cava stalla di caprai che amano i dirupi. Essi dimenticarono le capre e, temendo per sé, Giove pregavano che volesse salvarli. Ma la fiera, avvezza a camminare nella notte, poi che l'urlo passò della tempesta, lasciò la stalla e alcun male non fece ai pastori e al bestiame. E i pastori, frugali abitatori delle vette, scolpita, questa opera del fato, presso la quercia, qui, folta di tronchi, riconoscenti, a Giove dedicarono.
Epigramma 18
E la bisaccia e l'indurita pelle di capro, non conciata, e il bastone - un tronco storto di ceppo di vite - e la vuota bottiglia, opaca di olio, e la borsa di cane, senza un soldo, e il cappello che già ricopriva il capo - altro che sacro! - : questa roba di Sòcari, lui morto, appese Fame qui al tamarisco.
Epigrammma 19
Passate oltre la tomba silenziosi, non svegliate la vespa addormentata, Riposa, ora, la rabbia d'Ipponatte che già pungeva pure padre e madre; ma state attenti, chè le sue parole s'avventano rabbiose anche dall'Ade.
Epigramma 20
Fu Euro, calato a precipizio, e la notte e le ondate che mi uccisero dopo il nero tramonto d'Orione; e sdrucciolai così via dalla vita, io, Callàiscro. Mentre attraversavo il mare della Libia, disparvi giù aggirato dalle onde, e i pesci mi spolparono. Bugiarda mi sta sopra questa pietra.
Epigramma 21
Siamo sepolti in terra e in fondo al mare. A me, Tarsys, figlio di Carmide, toccò disavventura così strana a causa delle Parche. Mi calavo, immersomi nell'onda ionia, giù verso il peso dell'àncora tenace: e quella misi in salvo, ma, io stesso, mentre su ritornavo dall'abisso, e già davo le mani ai marinai, fui addentato da un mostro terribile che mi recise fino all'ombelico. E i marinai trassero dal mare una metà di me, peso gelato: l'altra aveva ingoiato il pescecane. Così, su questa spiaggia, seppellirono di me, Tarsys, i resti, o viandante; più non feci ritorno alla mia patria.
Epigramma 22
Parmis - di Callìgnoto - abile nel pescare con la canna, e pescatore di tordo e di scaro e del pesce persico, avido di esca, e di quanti altri abitano gli anfratti profondi e negli scogli inabissati, mentre un giorno mordeva un'iùlis di scoglio, la prima che traeva su dal mare, perché il granchio funesto gli sguizzò rapido nella gola dalla mano, soffocato moriva contorcendosi tra le corde e le canne e gli ami sparsi, così compiendo il filo del destino. A lui morto eresse questo tumulo il pescator Gripon.
Epigramma 23
Sotto giace Maronide, la vecchia sempre avida di vino, fiamma che lasciò secca ogni bottiglia. E, simbolo da tutti conosciuto, ha sulla tomba un calice dell'Attica. E anche sotto terra si lamenta: non per i figli, né per il marito, che ha lasciato sul lastrico, affamato, ma perché resta il calice, lì, vuoto.
Epigramma 24
Melo e Satira, già vecchie, figliole di Antigànide, operaie contente delle Muse: Melo dedica il doppio flauto dalle labbra esigue alle Muse Pimplee, con questo fodero per flauti, di bosso: e Satira, amica dell'amore, la canna che fischietta soavemente e rallegra di sera i bevitori, costruita con l'aiuto della cera. E con questa vegliando tutta notte, vide l'aurora, e il sole, ritornare, dimentica delle porte di casa.
Epigramma 25
Scoperchiate e pestate le mie ossa; e mi tortura la lastra di pietra, che pesa, smossa, sulle mie giunture. Avidi i vermi guardano di dentro; che vale ricoprirle con la terra? Certo, per camminare sul mio corpo, i viandanti hanno aperto una strada che nessuno mai prima percorreva. Ma, per gli Dei che regnano sotterra, Aidoneus, Hermes e la Notte, andate via di qua!
Epigramma 26 - Infinito fu il mio tempo
Uomo, infinito il tempo, prima che tu venissi alla tua aurora, e il futuro nell'Ade è interminabile. Che rimane alla vita? Forse un punto, forse meno di un punto. La tua vita è breve, angusta, senza gioie e più dell'orribile morte ripugnante; è ripugnante come ripugnante è una testa rapata dal rasoio, più ancora dello scheletro di un ragno. Tenuti su da quattr'ossa congiunte, gli uomini torreggiano nell'aria e alle nubi si slanciano; ma, vedi, uomo, come inutile; perché assiduo un tarlo lavora intorno al filo della vita. Maeschina la tua forza! D'alba in alba, inclina meglio ad una vita semplice; e, finché resterai vivo fra i vivi, ricorda a ogni passo quanto il tuo stelo è delicato, fragile.
Ulteriore proposta di traduzione
Infinito fu il tempo, uomo, prima che tu venissi alla luce, e infinito sarà quello dell'Ade. E quale parte di vita qui ti aspetta, se non quanto un punto, o, se c'è, qualcosa più piccola di un punto? Così breve la tua vita e chiusa, e poi non solo non è lieta, ma assai più triste dell'odiosa morte. Con una simile struttura d'ossa, tenti di sollevarti fra le nubi nell'aria! Tu vedi uomo come tutto è vano: all'estremo del filo, già c'è un verme sulla trama non tessuta della spola. Il tuo scheletro è più tetro di quello di un ragno. Ma tu, che giorno dopo giorno cerchi in te stesso, vivi con lievi pensieri, e ricorda solo di che paglia sei fatto.
Epigramma 27
Come la vite al paio, così io: un tempo dritto, ora mi reggo solo per il bastone, e morte chiama all'Ade. No, non essere Gorgo, tanto sciocco: che giova stare a riscaldarti al sole ancora per tre o quattro primavere? - Né furono parole: perché il vecchio, ripudiata la vita, passò da questo al soggiorno dei più.
Epigramma 28
Solo Eros adorano i Tespiesi, il dio fanciullo, nato a Citerèa; lo scolpì non guardando altro modello, ma come dentro lo sentì, Prassitele che volare lo vide intorno a Frine; e a lei lo dedicò, pegno d'ardore.
Epigramma 29
Erinna, la fanciulla poetessa, mentre, ape fra i poeti, volava sopra i fiori delle Muse, Ade strappava, ancora senza nozze. E la fanciulla, agile di mente, disse così: "Tu sei invidioso, Ade!"
Epigramma 30
Non solo so cantare dagli alti alberi, quando più cuoce il sole, sui viandanti, e bere a mio ristoro la rugiada, ma anche sulla lancia di Minerva dall'elmo luccicante, o caro, puoi vedere me cicala. Quanto io dalle Muse, tanto da me Minerva viene amata, la Vergine che gode al dolce flauto.
Epigramma 31
Tu, viandante, non bere di quest'acqua, calda, nel fosso, e torbida di fango che rode le erbe; ma superata la salita breve, sulla cima, nutrice di giovenche, sotto quel pino troverai tu l'acqua che armoniosa rompe dalla roccia fredda più della neve alta del Nord.
Epigramma 32
Rumoroso mare, perché Teleutàgora, figlio di Timares, che su nave non grande navigava, col carico mandasti a capo in giù rovesciandogli addosso onde affamate, mentre intorno ruggiva la tempesta? Dovunque sia, sopra deserta spiaggia lui morto lamentano gli aironi e i gabbiani, avidi di pesci; e Timares piange sulla tomba del figlio senza il figlio.
Epigramma 33
Sia dolce il viaggio del marinaio in mare. E se furia di venti spinga ai porti dell'Ade, come me, chi gomene snodò dalla mia tomba, alla sua stessa audacia, non dica male al vortice affamato.
Epigramma 34
O fredda tra due rocce acqua precipite, salve! E voi, rozze statue di ninfe, foggiate dalle mani dei pastori! O rocce, fresche di sorgenti, e, o vergini, queste immagini vostre senza numero, bagnate dall'acqua, io saluto. Qui, io, Aristòcle, dono questo corno, nel quale bevvi, viandante assetato.
Epigramma 35
Questo bottino non per me. Chi appende al tempio di Ares grazia senza grazia? Elmi non rotti, scudi senza sangue, esili lance, intatte. Arrossisco nel volto per vergogna e sudore mi gocciola sul petto giù dalla fronte: con oggetti simili un portico si adorni e una sala e una corte e stanza nuziale; ma bottino caldo di sangue adorni il tempio di Ares, agitatore di cavalli: solo così potremo renderlo propizio.
Epigramma 36
Guarda il vecchio Anacreonte ubriaco fradicio su quel sasso rotondo come pencola; e che brama in quegli occhi di crepuscolo! E si tira il mantello sui malleoli, ché una scarpa l'ha persa per la sbornia e nell'altra non riesce ad infilare il piede rattrappito. - Megisteo, canta, Batillo mio!... -; e come tenera sotto le dita vibra la testuggine! Ma sorreggilo tu, padre Dioniso, che un servo tuo non cada per il vino.
Epigramma 37
Ωραία τά θαλασσινά ταξίδια τώρα πού ήρθε η χελιδόνα η φλύαρη κι ο Ζέφυρος φυσάει.
Τό κύμα κ’ οι άγριοι άνεμοι έχουνε πάψει τώρα τόν πόντο νά ταράζουνε καί τά λειβάδια ανθούνε. Τράβα λοιπόν τίς άγκυρες, τούς κάβους λύσε, ναύτη, καί μέ πανιά ολάνοιχτα ξεκίνα τό ταξίδι. Αυτά προστάζω ο Πρίαπος εγώ, πού ’μαι προστάτης τών καραβιών• ξεκίνησε γιά κάθε εμπορία.
E' tempo di riprendere il mare. La rondine ciarliera è ritornata e già con grazia Zefiro sospira; e i fiori si alzano nei prati, e il mare che all'impeto dei venti fu sconvolto dalle onde, ora si abbandona ai suoi riposi. Togli le àncore, su, snoda le corde, o marinaio: queste cose impongo io, Priapo, custode dei porti; naviga finché è tempo di mercato.
Epigramma 38
Agile nel saltare, il barbuto marito della capra una volta, in un campo, tutti spezzò saltando i tralci teneri; ma con rimbombo gli parlò la terra. "Spezza, distruggi, bruto, col tuoi morsi i bei sarmenti che ci danno l'uva; le radici rimangono pur sempre e daranno di nuovo il dolce vino, quanto basta ad irrorarti tutto, brutto caprone, nel tuo sacrificio".
Epigramma 39
Le caldaie panciute di Larisa, le pentole e il bicchiere smisurato e la curva forchetta di bronzo, lavorata, e la grattugia e anche il ramaiolo, adatto a mescolare la polenta: questi doni la testa di Dorieo, puzzolente di sterco, dedicò alla Voracità e all'Appetito che alle labbra non dà mai riposo. E tu, Voracità, accettando questi brutti doni di brutto donatore, non ricordargli mai assennatezza.
Epigramma 40
Gradito ai forestieri era quest'uomo, e caro ai cittadini: Pindaro, ministro delle Pieridi dalla voce soave.
Epigramma 41
Io, qui, tomba di Tellen, sotto la terra custodisco il vecchio che primo modulò canti scherzosi.
Epigramma 42
Il cigno che cantò canti nuziali, e voce aveva degna delle Muse, il grazioso Alcmane, la tomba chiude: lui, gloria grande di Sparta; o che egli della Lidia ... ... gettato il corpo se ne scende all'Ade.
Epigramma 43
Menti Mirone, non mi modellò, pascolante mi trasse via dal gregge fissandomi per sempre su una pietra.
Epigramma 44
Chi da legno d'incenso trasse Eros con l'arco - e una volta scoccò anche su Giove? - Su Efesto ora mira, ma giunta è la sua fine, anche se tardi. Che nessuno lo guardi, se non dal fuoco sparpagliato in cenere.
Epigramma 45
Disse Eurota a Ciprys una volta: "O prendi le armi, oppure lascia Sparta, perché in armi la città tumultua". Rispose con un molle sorriso la dea: "E io resterò senza armi, abitando in Sparta tuttavia". E Ciprys è senza armi; ma i sapienti dicono, svergognati!, che anche Ciprys qui da noi porta le armi.
Epigramma 46
Qui Timocleia e qui Filo ed Aristo e Timàito, figlie di Aristòdico, morte tutte di parto: e fu per esse che anche il padre, Aristòdico, morì, appena ebbe innalzato questo tumulo.
Epigramma 47
Povero Anticle ed, ahi, povera me che sopra il rogo ho posto il figlio mio, l'unico: e a diciotto anni mi moristi, fiore di giovinezza! lo qui ti piango, e compiango la mia nuda vecchiezza. Voglio scendere anche io nella casa di Ade, tenebrosa. Non mi consola Aurora e non raggio di sole fuggitivo. Povero Anticle, ahimé, che soggiacesti al tuo destino. Sii medico tu del mio dolore: toglimi la vita.
Epigramma 48
O passeggeri, ricordando il sobrio Eùbulo, beviamo: porto comune, attende tutti Ade.
Epigramma 49
Sempre ingiusti i Cretesi, e predoni e corsari! Chi di essi conosce la giustizia? Rotolarono in mare anche me, sventurato Timolito, che navigavo con meschino carico! Su di me fan lamento ora i gabbiani, figli alati delle onde: Timolito non sta sotto la pietra.
Epigramma 50
Giaccio, ahi, come lontano dall'italica terra, da Taranto, mia patria: e questo mi è più amaro della morte! Senza vita è la vita dei randagi. Ma, io, ebbi l'amore delle Muse, dolce, nelle sventure, come miele. E il nome di Leonida è vivo: questi doni delle Muse sulle onde del tempo lo sospingono.
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