CICERONE De Amicitia 94-95-96 Testo latino e traduzione

DE AMICITIA 94 DE AMICITIA 95 DE AMICITIA 96 (Sull'amicizia)- Cicerone

[94] Multi autem Gnathonum similes cum sint loco, fortuna, fama superiores, horum est assentatio molesta, cum ad vanitatem accessit auctoritas

[95] Secerni autem blandus amicus a vero et internosci tam potest adhibita diligentia quam omnia fucata et simulata a sinceris atque veris.

Contio, quae ex imperitissimis constat, tamen iudicare solet quid intersit inter popularem, id est assentatorem et levem civem, et inter constantem et severum et gravem

94 Ma siccome molti sono gli Gnatoni, e spesso superiori per condizione sociale, fortuna e fama, la loro piaggeria è pericolosa, perché alla menzogna si aggiunge l'autorità.

95 Ma, stando bene attenti, è possibile distinguere e riconoscere l'amico adulatore dal vero amico, così come si riconosce ciò che è contraffatto e falso da ciò che è autentico e genuino. L'assemblea popolare, composta da persone molto ignoranti, è capace tuttavia di vedere, di solito, la differenza tra il demagogo, cioè il cittadino adulatore e infido, e il cittadino coerente, serio e ponderato.

[96] Quibus blanditiis C. Papirius nuper influebat in auris contionis, cum ferret legem de tribunis plebis reficiendis! Dissuasimus nos; sed nihil de me, de Scipione dicam libentius. Quanta illi, di immortales, fuit gravitas, quanta in oratione maiestas! ut facile ducem populi Romani, non comitem diceres. Sed adfuistis, et est in manibus oratio. Itaque lex popularis suffragiis populi repudiata est. Atque, ut ad me redeam, meministis, Q. Maximo, fratre Scipionis, et L. Mancino consulibus, quam popularis lex de sacerdotiis C. Licini Crassi videbatur! cooptatio enim collegiorum ad populi beneficium transferebatur; atque is primus instituit in forum versus agere cum populo. Tamen illius vendibilem orationem religio deorum immortalium nobis defendentibus facile vincebat. Atque id actum est praetore me quinquennio ante quam consul sum factus; ita re magis quam summa auctoritate causa illa defensa est.

96 Con quali lusinghe Caio Papirio cercava di insinuarsi nelle orecchie dell'assemblea popolare poco tempo fa, quando presentava il disegno di legge sulla rielezione dei tribuni della plebe! Ci siamo opposti alla sua proposta. Ma non è di me, è di Scipione che preferisco parlare. Dèi immortali, che solennità, che maestà risuonò nelle sue parole! Non avresti esitato a chiamarlo guida del popolo romano, non semplice cittadino! Ma eravate presenti ed è in circolazione il suo discorso. Così, una legge di ispirazione popolare è stata respinta dai voti dei popolo. E, per ritornare a me, vi ricordate senz'altro di quanto apparisse popolare la legge sui sacerdozi presentata da Caio Licinio Crasso nell'anno del consolato di Quinto Massimo, fratello di Scipione, e di Lucio Mancino! L'elezione dei membri dei collegi sacerdotali veniva trasferita al popolo. E fu lui il primo a parlare al popolo con la faccia rivolta al foro. Nonostante ciò, il rispetto degli dèi immortali, da me difeso, sconfisse senza difficoltà il suo discorso demagogico. L'episodio risale alla mia pretura, cinque anni prima del mio consolato. Così, fu il suo significato intrinseco la migliore difesa di quella causa, e non la suprema autorità del suo oratore.

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