CICERONE - De Amicitia (Sull'amicizia) 29-30 teto latino e traduzione

DE AMICITIA 29 DE AMICITIA 30 (Sull'amicizia) - Cicerone
Opera integrale con traduzione italiana

[29] Quod si tanta vis probitatis est ut eam vel in iis quos numquam vidimus, vel, quod maius est, in hoste etiam diligamus, quid mirum est, si animi hominum moveantur, cum eorum, quibuscum usu coniuncti esse possunt, virtutem et bonitatem perspicere videantur? Quamquam confirmatur amor et beneficio accepto et studio perspecto et consuetudine adiuncta, quibus rebus ad illum primum motum animi et amoris adhibitis admirabilis quaedam exardescit benevolentiae magnitudo.

Quam si qui putant ab imbecillitate proficisci, ut sit per quem adsequatur quod quisque desideret, humilem sane relinquunt et minime generosum, ut ita dicam, ortum amicitiae, quam ex inopia atque indigentia natam volunt.

Quod si ita esset, ut quisque minimum esse in se arbitraretur, ita ad amicitiam esset aptissimus; quod longe secus est.

IX 29 Se, dunque, tanta è la forza dell'onestà da venir apprezzata in chi non abbiamo mai visto o, cosa ancor più notevole, addirittura in un nemico, perché stupirsi se l'animo umano rimane turbato quando crede di scorgere virtù e bontà in persone con cui si può legare nei rapporti della vita? È pur vero che l'amore si rafforza quando riceviamo un beneficio o ci manifestano simpatia o quando ancora si instaura l'intimità.

Se a ciò si accompagna un'immediata attrazione, ecco allora accendersi un meraviglioso e intenso affetto. Se alcuni pensano che l'amicizia derivi dalla debolezza e dalla necessità di cercare qualcuno in grado di procurarci quel che ci manca, è perché attribuiscono all'amicizia, se così posso esprimermi, un'origine davvero bassa e ignobile, volendola figlia del bisogno e dell'indigenza.

Se così fosse, quanto più uno si sentisse insicuro, tanto più sarebbe adatto all'amicizia. Ma la verità è un'altra!

[30] Ut enim quisque sibi plurimum confidit et ut quisque maxime virtute et sapientia sic munitus est, ut nullo egeat suaque omnia in se ipso posita iudicet, ita in amicitiis expetendis colendisque maxime excellit. Quid enim? Africanus indigens mei? Minime hercule! ac ne ego quidem illius; sed ego admiratione quadam virtutis eius, ille vicissim opinione fortasse non nulla, quam de meis moribus habebat, me dilexit; auxit benevolentiam consuetudo. Sed quamquam utilitates multae et magnae consecutae sunt, non sunt tamen ab earum spe causae diligendi profectae.

30 Infatti quanto più uno ha fiducia in sé, quanto più è armato di virtù e di saggezza, in modo da non avere bisogno di nessuno e da considerare ogni suo bene un fatto interiore, tanto più eccelle nel cercare e nel coltivare le amicizie. Cosa? L'Africano aveva bisogno di me? Figuriamoci! E nemmeno io avevo bisogno di lui! Ma gli ho voluto bene perché ammiravo molto il suo valore, e lui, a sua volta, perché aveva una certa considerazione della mia persona. La confidenza accrebbe il nostro affetto. È vero, ne conseguirono molti e grandi vantaggi, ma la speranza di ottenerli non fu il presupposto del nostro attaccamento.

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