SENECA - Consolazione alla madre Elvia Libro VIII testo latino e traduzione
CONSOLAZIONE ALLA MADRE ELVIA 8
Consolatio ad Helvia matrem VIII
Testo latino e traduzione italiana LIBRO VIII
1. Adversus ipsam commutationem locorum, detractis ceteris incommodis quae exilio adhaerent, satis hoc remedii putat Varro, doctissimus Romanorum, quod quocumque venimus eadem rerum natura utendum est; M.
Brutus satis hoc putat, quod licet in exilium euntibus uirtutes suas secum ferre. 2. Haec etiam si quis singula parum iudicat efficacia ad consolandum exulem, utraque in unum conlata fatebitur plurimum posse. Quantulum enim est quod perdimus! duo quae pulcherrima sunt quocumque nos mouerimus sequentur, natura communis et propria uirtus. 3. Id actum est, mihi crede, ab illo, quisquis formator uniuersi fuit, siue ille deus est potens omnium, siue incorporalis ratio ingentium operum artifex, siue diuinus spiritus per omnia maxima ac minima aequali intentione diffusus, siue fatum et inmutabilis causarum inter se cohaerentium series - id, inquam, actum est ut in alienum arbitrium nisi uilissima quaeque non caderent.
4. Quidquid optimum homini est, id extra humanam potentiam iacet, nec dari nec eripi potest. Mundus hic, quo nihil neque maius neque ornatius rerum natura genuit, animus contemplator admiratorque mundi, pars eius magnificentissima, propria nobis et perpetua et tam diu nobiscum mansura sunt quam diu ipsi manebimus. 5. Alacres itaque et erecti quocumque res tulerit intrepido gradu properemus, emetiamur quascumque terras: nullum inueniri exilium intra mundum est alienum homini est.
Vndecumque ex aequo ad caelum erigitur acies, paribus interuallis omnia diuina ab omnibus humanis distant. 6. Proinde, dum oculi mei ab illo spectaculo cuius insatiabiles sunt non abducantur, dum mihi solem lunamque intueri liceat, dum ceteris inhaerere sideribus, dum ortus eorum occasusque et interualla et causas inuestigare uel ocius meandi uel tardius, spectare tot per noctem stellas micantis et alias inmobiles, alias non in magnum spatium exeuntis sed intra suum se circumagentis uestigium, quasdam subito erumpentis, quasdam igne fuso praestringentis aciem, quasi decidant, uel longo tractu cum luce multa praeteruolantis, dum cum his sim et caelestibus, qua homini fas est, inmiscear, dum animum ad cognatarum rerum conspectum tendentem in sublimi semper habeam, quantum refert mea quid calcem?
(1) Contro il cambiamento di luogo, a prescindere dagli altri svantaggi che vi sono connessi, Varrone, il più dotto dei Romani, ritiene che rimedio sufficiente sia il fatto che dovunque noi andiamo abbiamo a che fare con la medesima natura;
M. Bruto4, invece, pensa che basti, per chi va in esilio, portare con sé le proprie virtù. (2) Anche se qualcuno giudica di scarsa efficacia per un esule questi rimedi se presi singolarmente, bisogna dire che, messi insieme, essi sono efficacissimi. Quanto poco è, infatti, quello che perdiamo! Due cose ci seguono dovunque noi andiamo e sono le più belle che esistono: la natura, che è comune a tutti, e la nostra virtù personale. (3) Questo è voluto, credimi, dal creatore dell'universo, chiunque egli sia, un Dio signore di tutte le cose o una mente incorporea artefice di opere meravigliose, o uno spirito divino uniformemente diffuso in tutte le cose, le più grandi come le più piccole, o il destino e la successione immutabile di cause connesse fra loro; questo, ripeto, è voluto perché soltanto le cose infime fossero soggette all'arbitrio altrui.
(4) Ciò che vi è di meglio nell'uomo è sottratto al potere umano e non può essere né dato né tolto. Questo universo che di tutte le creazioni della natura è la più grande e la più bella, il nostro animo che questo universo contempla e ammira e del quale è parte splendidissima, appartengono a noi per sempre e resteranno con noi tanto più a lungo quanto noi stessi più a lungo esisteremo. (5) Perciò, di buon animo e fieri, affrettiamoci con passo fermo dovunque la sorte ci spinga. Percorriamo tutta la terra, non vi sarà nessun esilio; infatti al mondo non c'è luogo che sia straniero all'uomo. Da ogni parte, egualmente, si può volgere lo sguardo al cielo;
la distanza che separa l'uomo da Dio è sempre la stessa. (6) Per questo, purché i miei occhi non siano privati di quello spettacolo di cui sono insaziabili, purché mi sia consentito di guardare il sole e la luna, purché io possa fissare gli altri astri e studiarne il sorgere e il tramontare, le loro distanze e le cause del loro moto, ora più veloce ora più lento, e ammirare le tante stelle che brillano nella notte, alcune immobili altre che si spostano, non però nello spazio infinito ma in un'orbita che si sono tracciata, altre ancora che spuntano all'improvviso, altre che quasi abbagliano in un guizzo di fiamma e sembra che cadano o che, per un lungo tratto di cielo, passano oltre con una gran luce, purché io possa contemplare tutto questo e, per quanto sia lecito a un uomo, partecipare alla vita del cielo, purché l'animo mio che tende alle cose a lui affini sia sempre rivolto al cielo, che cosa mi importa quale terra io calpesti?
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