Seneca De Providentia La provvidenza Libro II 6-12

Seneca - De Providentia (Sulla provvidenza) testo latino e traduzione italiana LIBRO II 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 passim 6.

Patrium deus habet adversus bonos viros animum et illos fortiter amat et 'operibus' inquit 'doloribus damnis exagitentur, ut verum colligant robur.' Languent per inertiam saginata nec labore tantum sed motu et ipso sui onere deficiunt.

Non fert ullum ictum inlaesa felicitas; at cui adsidua fuit cum incommodis suis rixa, callum per iniurias duxit nec ulli malo cedit, sed etiam si cecidit de genu pugnat.7. Miraris tu, si deus ille bonorum amantissimus, qui illos quam optimos esse atque excellentissimos vult, fortunam illis cum qua exerceantur adsignat? Ego vero non miror, si aliquando impetum capiunt spectandi magnos viros conluctantis cum aliqua calamitate. 8. Nobis interdum voluptati est, si adulescens constantis animi inruentem feram venabulo excepit, si leonis incursum interritus pertulit, tantoque hoc spectaculum est gratius quanto id honestior fecit. Non sunt ista quae possint deorum in se vultum convertere, puerilia et humanae oblectamenta levitatis: 9. ecce spectaculum dignum ad quod respiciat intentus operi suo deus, ecce par deo dignum, vir fortis cum fortuna mala compositus, utique si et provocauit.

Non video, inquam, quid habeat in terris Iuppiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem iam partibus non semel fractis stantem nihilo minus inter ruinas publicas rectum. 10. 'Licet' inquit 'omnia in unius dicionem concesserint, custodiantur legionibus terrae, classibus maria, Caesarianus portas miles obsideat, Cato qua exeat habet: una manu latam libertati viam faciet. Ferrum istud, etiam civili bello purum et innoxium, bonas tandem ac nobiles edet operas: libertatem quam patriae non potuit Catoni dabit. Aggredere, anime, diu meditatum opus, eripe te rebus humanis.

Iam Petreius et Iuba concucurrerunt iacentque alter alterius manu caesi, fortis et egregia fati conventio, sed quae non deceat magnitudinem nostram: tam turpe est Catoni mortem ab ullo petere quam vitam.' 11. Liquet mihi cum magno spectasse gaudio deos, dum ille vir, acerrimus sui uindex, alienae saluti consulit et instruit discedentium fugam, dum studia etiam nocte ultima tractat, dum gladium sacro pectori infigit, dum viscera spargit et illam sanctissimam animam indignamque quae ferro contaminaretur manu educit. 12. Inde crediderim fuisse parum certum et efficax vulnus: non fuit dis inmortalibus satis spectare Catonem semel; retenta ac revocata virtus est ut in difficiliore parte se ostenderet; non enim tam magno animo mors initur quam repetitur. Quidni libenter spectarent alumnum suum tam claro ac memorabili exitu evadentem? mors illos consecrat quorum exitum et qui timent laudant.

6.Ebbene, Dio verso i buoni ha l'animo di un padre, li ama, ma senza debolezze o cedimenti, e dice: "Le fatiche, i dolori e le sventure li tengono sempre vigili, così acquisteranno una forza autentica, vera". Le bestie che ingrassano nell'inoperosità s'indeboliscono e non solo non sono capaci di compiere alcuno sforzo ma non riescono nemmeno a muoversi e a sostenere il loro stesso peso.

Una felicità che non conosca assalti al minimo colpo vacilla, chi invece è costretto a lottare incessantemente contro le avversità della vita finisce col farci il callo e non cade davanti ad alcun male, e anche se cade continua a combattere in ginocchio. Ora ti meravigli che un Dio così amorevole verso i buoni, che desidera ottimi e superiori agli altri, assegni loro un destino che li tenga sempre addestrati? Io, per me, non mi meraviglio affatto se talvolta gli viene il ghiribizzo di vedere degli uomini virtuosi alle prese con qualche disgrazia. Anche a noi piace spesso guardare un giovane deciso e valoroso attendere a pie' fermo, col giavellotto in pugno, la belva che s'avventa contro di lui, il balzodel leone, senz'alcuna paura, e lo spettacolo ci è tanto più gradito quanto più coraggioso è colui da cui ci viene offerto. Ma non a simili imprese si volge l'occhio di Dio: questi sono giochetti puerili, passatempi dell'umana leggerezza. Ecco invece uno spettacolo degno di essere guardato da un Dio intento alla sua opera, ecco l'uguale, pari alla divinità: un uomo forte in lotta contro la sorte avversa, e meglio ancora se quella lotta l'ha provocata lui.

Non so davvero quale spettacolo più bello potrebbe vedere Dio sulla terra, quando volesse volgervi lo sguardo, di quello di Catone, che a dispetto delle tante sconfitte subite dai suoi se ne sta dritto in mezzo alla generale rovina. Sembra che dica: "Pur se ogni cosa è caduta sotto il dominio di Cesare e ormai le sue legioni presidiano la terra e le sue flotte il mare e i suoi soldati battono alle porte, Catone ha come uscirne: con una sola mano saprà aprirsi la strada verso la libertà! Codesta spada, rimasta pura e innocente anche nella guerra civile, compirà finalmente una buona e nobile impresa: darà a Catone quella libertà che egli non potè dare alla patria. Esegui, animo mio, quel gesto già meditato da tempo, ritirati dalle vicende umane!

Giuba e Petreio si sono già scontrati e son caduti l'uno per mano dell'altro: un patto di morte nobile e coraggioso, ma che non si addice alla grandezza di Catone: per lui sarebbe una vergogna chiedere ad altri la morte, come pure la vita". Sono certo che Dio avrà guardato con somma gioia la scena di quest'uomo così deciso in quel suo gesto liberatore, dopo aver atteso alla salvezza degli altri organizzandone la fuga, un uomo che dedicò allo studio anche l'ultima notte, e che alla fine s'immerse la spada nel petto immacolato aprendosi le viscere con le sue stesse mani, per liberare così la sua santissima anima che il contatto del ferro avrebbe indegnamente contaminato. Dio non si accontentò di vederlo morire d'una morte istantanea - e perciò la ferita prodotta dalla spada fu imprecisa e poco efficace - ma volle prolungare il suo coraggio perché quel gesto si ripetesse più volte, in una prova sempre più dura: il vero eroismo, infatti, non sta tanto nell'affrontare la morte quanto nel provocarla ripetutamente. E perché Dio non avrebbe dovuto compiacersi di guardare un figlio suo che se ne usciva dalla scena del mondo con una fine così esemplare e memorabile? Una simile morte consacra l'uomo all'immortalità, ed è lodata anche da coloro che ne hanno paura.

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