Seneca De Providentia La Provvidenza Libro III 4-14

Seneca - De Providentia Sulla provvidenza 
testo latino e traduzione italiana LIBRO III 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 passim

4. ' Ignominiam iudicat gladiator cum inferiore componi et scit eum sine gloria vinci qui sine periculo vincitur.

Idem facit fortuna: fortissimos sibi pares quaerit, quosdam fastidio transit. Contumacissimum quemque et rectissimum adgreditur, adversus quem uim suam intendat: ignem experitur in Mucio, paupertatem in Fabricio, exilium in Rutilio, tormenta in Regulo, venenum in Socrate, mortem in Catone. Magnum exemplum nisi mala fortuna non invenit. 5. Infelix est Mucius quod dextra ignes hostium premit et ipse a se exigit erroris sui poenas, quod regem quem armata manu non potuit exusta fugat? Quid ergo? felicior esset, si in sinu amicae foveret manum? 6. Infelix est Fabricius quod rus suum, quantum a re publica vacauit, fodit? quod bellum tam cum Pyrrho quam cum diuitiis gerit? quod ad focum cenat illas ipsas radices et herbas quas in repurgando agro triumphalis senex vulsit? Quid ergo? felicior esset, si in ventrem suum longinqui litoris pisces et peregrina aucupia congereret, si conchyliis superi atque inferi maris pigritiam stomachi nausiantis erigeret, si ingenti pomorum strue cingeret primae formae feras, captas multa caede venantium? 7. Infelix est Rutilius quod qui illum damnauerunt cau sam dicent omnibus saeculis? quod aequiore animo passus est se patriae eripi quam sibi exilium? quod Sullae dictatori solus aliquid negavit et revocatus tantum non retro cessit et longius fugit? 'Viderint' inquit 'isti quos Romae deprehendit felicitas tua: videant largum in foro sanguinem et supra Seruilianum lacum (id enim proscriptionis Sullanae spoliarium est) senatorum capita et passim vagantis per urbem percussorum greges et multa milia ciuium Romanorum uno loco post fidem, immo per ipsam fidem trucidata;

videant ista qui exulare non possunt.' 8. Quid ergo? felix est L. Sulla quod illi descendenti ad forum gladio summovetur, quod capita sibi consularium virorum patitur ostendi et pretium caedis per quaestorem ac tabulas publicas numerat? Et haec omnia facit ille, ille qui legem Corneliam tulit. 9. Veniamus ad Regulum: quid illi fortuna nocuit quod illum documentum fidei, documentum patientiae fecit? Figunt cutem claui et quocumque fatigatum corpus reclinavit, vulneri incumbit; in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina: quanto plus tormenti tanto plus erit gloriae. Vis scire quam non paeniteat hoc pretio aestimasse virtutem? refige illum et mitte in senatum: eandem sententiam dicet. 10. Feliciorem ergo tu Maecenatem putas, cui amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti somnus per symphoniarum cantum ex longinquo lene resonantium quaeritur? Mero se licet sopiat et aquarum fragoribus avocet et mille voluptatibus mentem anxiam fallat, tam vigilabit in pluma quam ille in cruce; sed illi solacium est pro honesto dura tolerare et ad causam a patientia respicit, hunc voluptatibus marcidum et felicitate nimia laborantem magis iis quae patitur vexat causa patiendi.

11. Non usque eo in possessionem generis humani vitia venerunt ut dubium sit an electione fati data plures nasci Reguli quam Maecenates velint; aut si quis fuerit qui audeat dicere Maecenatem se quam Regulum nasci maluisse, idem iste, taceat licet, nasci se Terentiam maluit. 12. Male tractatum Socratem iudicas quod illam potionem publice mixtam non aliter quam medicamentum inmortalitatis obduxit et de morte disputavit usque ad ipsam? Male cum illo actum est quod gelatus est sanguis ac paulatim frigore inducto venarum vigor constitit? 13. Quanto magis huic invidendum est quam illis quibus gemma ministratur, quibus exoletus omnia pati doctus exsectae virilitatis aut dubiae suspensam auro nivem diluit! Hi quidquid biberunt vomitu remetientur tristes et bilem suam regustantes, at ille venenum laetus et libens hauriet. 14. Quod ad Catonem pertinet, satis dictum est, summamque illi felicitatem contigisse consensus hominum fatebitur, quem sibi rerum natura delegit cum quo metuenda conlideret. 'Inimicitiae potentium graves sunt: opponatur simul Pompeio, Caesari, Crasso. Grave est a deterioribus honore anteiri: Vatinio postferatur. Graue est civilibus bellis interesse: toto terrarum orbe pro causa bona tam infeliciter quam pertinaciter militet. Grave est manus sibi adferre: faciat. Quid per haec consequar? ut omnes sciant non esse haec mala quibus ego dignum Catonem putavi

Il gladiatore considera disonorevole l'essere messo di fronte ad un avversario meno forte di lui, perché sa che non c'è glorai in una vittoria senza rischi.

Così fa pure la sorte: cerca rivali degni di lei. Certi uomini li guarda con disprezzo e passa oltre, assale solo i più decisi ed ostinati contro cui poter dirigere tutta la sua forza: usa il fuoco con Muzio, la povertà con Fabrizio, l'esilio con Rutilio, la torttura con Regolo, il veleno con Socrate, il suicidio con Catone. i grandi esempi sono possibili solo nella sventura. è forse infelice Muzio perchè impone la destra sul fuoco nemico punendola egli stesso per lo sbaglio commesso? Quella mano che armata non seppe uccidere il re e che ora, bruciata, riesce a metterlo in fuga? Sarebbe stato più lieto se quella mano l'avesse riscaldata nel seno dell'amante? È forse infelice Fabrizio quando vanga il suo campicello?, in quel tanto di libertà che gli rimane dagli affari di Stato? O perchè muove guerra contro Pirro e al tempo stesso contro le ricchezze? O perchè, seduto accanto al fuoco, si ciba di quelle stesse erbe e radici che di sua mano ha raccolto nel pulire il suo orto, lui, vecchio e glorioso trionfatore? Sarebbe forse stato più felice se si fosse rimpinzato di pesci provenienti dai lidi più lontani o di uccelli forestieri, se avesse stuzzicato il suo stomaco pigro e riluttante con le ostriche dell'Adriatico e del Tirreno, o guarnito con montagne di frutta la pregevole selvaggina catturata con tanta strage dai cacciatori? È infelice Rutilio, quando i giudici che gli hanno inflitto quella condanna dovranno risponderne alla Storia per tutti i secoli futuri? Lui, che ha sofferto di essere strappato alla patria con più serenità che se fosse scampato all'esilio? Infelice per aver lui solo risposto no al dittatore, quando, pur richiamato da Silla, non soltanto non ritornò ma fuggì ancora più lontano? "Se la sbrighino", gli disse, "quei disgraziati che in Roma sono rimasti abbindolatidalla tua felicità, quella felicità di cui usurpasti il nome, facendoti chiamare, per la tua era, Felice. Guardino i fiumi di sangue nel foro, le teste mozze dei senatori sulla fontana di Servilio, covo di assassini delle tue proscrizioni, le squadracce dei tuoi sicari sparpagliati per la città e le tante migliaia di romani trucidati in massa, dopo il pegno d'incolumità che gli era stato dato, anzi proprio per questo.

Se lo guardi un tale spettacolo chi non ha il privilegio dell'esilio!" Ed è forse felice lo stesso Silla, quando, recandosi al foro, deve aprirsi la strada a colpi di spada, o quando gli si mostrano le teste dei consolari e fa segnare dal questore sui registri dello Stato le taglie da pagare per quelle stragi? Ed è lui che fa tutto questo, proprio lui che ha emanato la legge Cornelia contro i sicari e gli avvelenatori! Veniamo a Regolo, ora: quale danno gli fece mai la sorte?, quando lo assunse a modello di lealtà e di coraggio? I chiodi gli si conficcano nelle carni, dovunque si appoggi, il suo corpo straziato riceve ferite su ferite, i suoi occhi sono sospesi in una veglia senza fine; ma quanto più nero è lo strazio tanto più luminosa risplende la sua gloria. Vuoi sapere se si è pentito di aver pagato a questo prezzo la sua lealtà? Risucitalo e rimandalo in Senato: sarà sempre dello stesso parere. E ancora: credi tu più felice Mecenate, quando, eccitato dalle sue voglie amorose e mortificato dai quotidiani rifiuti di una moglie lunatica e capricciosa, cerca di conciliarsi il sonno al dolce suono di melodie lontane? Si stordisca pure col vino, si distragga allo scroscio fragoroso delle acque, inganni pure con mille piaceri il suo animo esulcerato: resterà sveglio sul suo letto di piume come Regolo sulla sua croce.

Ma Regolo almeno ha il conforto di aver patito tale strazio in nome della sua lealtà, quando da quella sofferenza volge lo sguardo alla causa, nobilissima, che l'ha generata; Mecenate, invece, snervato dai piaceri e schiavo della troppa felicità, è tormentato più dalla causa della sua pena che dalla pena stessa. I vizi non sono ancora così padroni del mondo da far dubitare che se potessimo scegliere il nostro destino vi sarebbero più Regoli che Mecenati, o addirittura che se uno ardisse confessare di preferire a Regolo Mecenate, in realtà vorrebbe essere Terenia. Pensi che Socrate sia stato trattato male da Dio, quando bevve, come se fosse un filtro per l'immortalità, il veleno fornitogli dallo Stato e disputò sulla morte sino a che questa non lo ghermì? Che male gliene venne quando il sangue gli si gelò e, diffondendosi il freddo a poco a poco, la vita gli si spense nelle vene? Quanto più invidiabili è lui di fronte a chi beve nettari prelibati sentro coppe ingemmate, mentre magari un giovane lascivo, rotto ad ogni libidine, evirato o di sesso ambiguo, gli versa neve disciolta da un calice dorato! Uomini siffatti vomiteranno tutto ciò che han bevuto, sentendone il più totale disgusto nel riguardo della loro bile, mentre Socrate bevve lieto e tranquillo il suo veleno. Quanto a Catone se n'è già detto abbastanza, e tutti saranno concordi nel riconoscere che gli è toccato il massimo della felicità, visto che la natura lo ha scelto quale oggetto delle sue più terribili prove: "È pericoloso avere nemici potenti? Mettiamolo allora di fronte a Pompeo, a Cesare e a Crasso contemporaneamente. È umiliante essere scavalcati dai peggiori nelle cariche pubbliche? Posponiamolo a Vatinio. È duro trovarsi in mezzo ad una guerra civile? Combatta allora in tutto il mondo per una buona causa e con tanto insuccesso quanta è la sua ostinazione. È duro darsi la morte? lo faccia. A che pro tutto questo? Perchè gli uomini sappiano che non sono mali codesti, se ho giudicato Catone degno di simili prove".

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