Seneca De Providentia - La Provvidenza Libro IV 1-8

Seneca - De Providentia (Sulla provvidenza) LIBRO IV
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 passim testo latino e traduzione italiana

1. Prosperae res et in plebem ac vilia ingenia deveniunt;

at calamitates terroresque mortalium sub iugum mittereproprium magni viri est. Semper vero esse felicem et sine morsu animi transire vitam ignorare est rerum naturae alteram partem. 2. Magnus vir es: sed unde scio, si tibi fortuna non dat facultatem exhibendae virtutis? Descendisti ad Olympia, sed nemo praeter te: coronam habes, victoriam non habes; non gratulor tamquam viro forti, sed tamquam consulatum praeturamue adepto: honore auctus es. 3. Idem dicere et bono viro possum, si illi nullam occasionem difficilior casus dedit in qua [una] vim animi sui ostenderet: 'miserum te iudico, quod numquam fuisti miser. Transisti sine aduersario uitam; nemo sciet quid potueris, ne tu quidem ipse.' Opus est enim ad notitiam sui experimento; quid quisque posset nisi temptando non didicit. Itaque quidam ipsi ultro se cessantibus malis optulerunt et virtuti iturae in obscurum occasionem per quam enitesceret quaesierunt. 4. Gaudent, inquam, magni viri aliquando rebusaduersis, non aliter quam fortes milites bello; Triumphum ego murmillonem sub Ti. Caesare de raritate munerum audivi querentem: 'quam bella' inquit 'aetas perit!' Avida est periculi virtus et quo tendat, non quid passura sit cogitat, quoniam etiam quod passura est gloriae pars est. Militares viri gloriantur vulneribus, laeti fluentem meliori casu sanguinem ostentant: idem licet fecerint qui integri revertuntur ex acie, magis spectatur qui saucius redit.

5. Ipsis, inquam, deus consulit quos esse quam honestissimos cupit, quotiens illis materiam praebet aliquid animose fortiterque faciendi, ad quam rem opus est aliqua rerum difficultate: gubernatorem in tempestate, in acie militem intellegas. Unde possum scire quantum adversus paupertatem tibi animi sit, si divitiis diffluis? Unde possum scire quantum adversus ignominiam et infamiam odiumque populare constantiae habeas, si inter plausus senescis, si te inexpugnabilis et inclinatione quadam mentium pronus fauor sequitur? Unde scio quam aequo animo laturus sis orbitatem, si quoscumque sustulisti vides? Audivi te, cum alios consolareris: tunc conspexissem, si te ipse consolatus esses, si te ipse dolere vetuisses. 6. Nolite, obsecro uos, expavescere ista quae di inmortales velut stimulos admovent animis: calamitas virtutis occasio est.

Illos merito quis dixerit miseros qui nimia felicitate torpescunt, quos velut in mari lento tranquillitas iners detinet: quidquid illis inciderit, nouum veniet. 7. Magis urgent saeua inexpertos, grave est tenerae ceruici iugum; ad suspicionem vulneris tiro pallescit, audacter veteranus cruorem suum spectat, qui scit se saepe vicisse post sanguinem. Hos itaque deus quos probat, quos amat, indurat recognoscit exercet; eos autem quibus indulgere videtur, quibus parcere, molles venturis malis servat. Erratis enim si quem iudicatis exceptum: veniet et ad illum diu felicem sua portio; quisquis videtur dimissus esse dilatus est. 8. Quare deus optimum quemque aut mala valetudine aut luctu aut aliis incommodis adficit? quia in castris quoque periculosa fortissimis imperantur: dux lectissimos mittit qui nocturnis hostes adgrediantur insidiis aut explorent iter aut praesidium loco deiciant. Nemo eorum qui exeunt dicit 'male de me imperator meruit', sed 'bene iudicavit'. Idem dicant quicumque iubentur pati timidis ignauisque flebilia: 'digni visi sumus deo in quibus experiretur quantum humana natura posset pati.'

Considera ora questo: la buona fortuna può capitare anche ad un plebeo o ad una persona spregevole, ma è solo dell'uomo grande vincere le disgrazie e le paure.

Inoltre l'essere sempre felici, il passare indenni la vita significa ignorarne l'altra metà. Come fai a sapere che sei un grand'uomo, se la sorte non t'offre l'occasione di dimostrare il tuo valore? Se scendi nell'arena dei giochi olimpici e ci sei solo tu a misurati puoi prenderti la corona ma non la vittoria, ed io non posso congratularmi con te come si fa con un uomo forte, posso solo stringerti la mano, come ad uno che ha conseguito la pretura o il consolato: un'onorificenza, niente di più. Lo stesso potrei dire ad un uomo buono se nessuna difficoltà di un certo rilievo gli ha mai dato modo di dimostrare la sua forza d'animo. "Ti giudico infelice perchè non sei mai stato infelice", così gli direi. "Hai passato la vita intera senza mai misurarti con qualcuno o qualcosa che ti contrastasse. Nessuno potrà mai sapere quanto vali in realtà, nemmeno tu stesso." Per conoscersi, infatti, bisogna dar prova di sé, le proprie forze non si apprendono se non sperimentandole. Per questo alcuni, invece di aspettarle, visto che quelle tardano a venire, vanno incontro alle disgrazie volontariamente e cercano loro l'occasione per mettere in luce una virtù che diversamente resterebbe nell'ombra. Gli uomini forti talvolta si rallegrano delle avversità come della guerra i soldati valorosi. Al tempo dell'imperatore Tiberio il gladiatore Trionfo - come io stesso ho potuto sentire - si lamentava della scarsezza di quelle competizioni: "un'età sprecata!", diceva. La virtù è avida di pericoli e guarda dritto alla meta, non a quel che devepatire, perché sa che anche le sofferenze fanno parte della gloria. I soldati valorosi sono fieri delle loro ferite e mostrano con gioioso orgoglio il sangue che cola dalla corrazza: anche se chi esce illeso da una battaglia ha compiuto le stesse imprese, la nostra ammirazione è maggiore per chi ne torna ferito.

Dio, ripeto, si prende cura di quegli uomini che vuole perfetti, offrendo loro l'occasione di agire con coraggio e con fermezza, ma ciò comporta delle difficoltà: un buon timoniere lo si vede nella tempesta, come un buon soldato nella battaglia. Se nuoti nella ricchezza non posso sapere di quanta forza d'animo tu disponga per affrontare la povertà. Allo stesso modo come posso conoscere la tua fermezza di fronte all'infamia, al disonore e all'odio popolare, se invecchi fra gli applausi, se ti accompagna sempre un consenso generale che non conosce crolli e oscillazioni perchè dovuto a un moto di simpatia spontanea verso di te? Come posso sapere con quale animo sei in grado si sopportare la perdita di uno dei tuoi figli, se quelli che hai generato li hai tutti vivi e presenti davanti a te? So, per averti sentito, che sei bravo a consolare gli altri, ma sarestti capace di fare altrettanto con te, anzi, di non soffrire per niente? In nome di Dio, non abbiate timore di tutti questi mali, che sono solo degli stimoli per provare l'animo umano!

La sventura non è che un pretesto per mettere a nudo la virtù. Si possono dire infelici, e giustamente, quelli che ipigriscono in un'eccessiva felicità, a cui un'inerzia stagnante impedisce persino di muoversi, come non ci si muove su un mare liscio e tranquillo non intaccato dal vento. Sono infelici perchè non solamente i mali ma qualunque cosa gli accada li troverà impreparati: le disgrazie infatti fanno più male a chi non le ha mai provate. Il giogo, insomma, pesa sui colli delicati, la recluta si sbianca al solo pensiero di una ferita, il veterano, invece, guarda impassibile il proprio sangue in quanto sa che a questo deve le sue vittorie. Perciò Dio mette alla prova, irrobustisce e tiene in esercizio quelli che ama ed apprezza, mentre lascia indifesi di fronte alle disgrazie proprio quelli che sembra prediligere e risparmiare. Ma poi nessuno è completamente immune dai mali: anche chi è stato a lungo felice avrà la sua parte d'ìinfelicità, sarà solo una proroga, non un'esclusione. "Perchè allora", mi dirai, "tante malattie, tanti lutti, tanti guai capitano proprio ai migliori?" Per la stessa ragione per cui in guerra le imprese più rischiose sono assegnate ai più forti. Come un generale sceglie i soldati più abili per le sortite notturne contro il nemico, per esplorare la strada o togliere di mezzo un avamposto - e nessuno di quelli pensa di essere malvisto dal comandante ma al contrario ciascuno è convinto di essere nelle sue grazie - così da Dio, e così devono dire coloro ch'Egli chiama alla sventura, di fronte alla quale si arrendano soltanto i timidi e i vigliacchi: "Dio ci ha prescelti per mostrare al mondo quanto sia forte la natura umana

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