Il mito delle cicale - versione greco Platone da Ellenion
IL MITO DELLE CICALE VERSIONE DI GRECO di Platone TRADUZIONE dal libro Ellenion
Οὐ μὲν δὴ πρέπει γε φιλόμουσον ἄνδρα τῶν τοιούτων ἀνήκοον εἶναι. λέγεται δ' ὥς ποτ' ἦσαν οὗτοι ἄνθρωποι τῶν πρὶν Μούσας γεγονέναι,...
Traduzione (letterale)
Non è quindi conveniente che l’uomo che ama la musica sia ignorante di tali cose. Si racconta che una volta proprio gli uomini erano tra loro prima che nascessero le Muse, e quando nacquero le Muse e comparve il canto alcuni di questi di allora a tal segno furono storditi dal piacere al punto che, per cantare, scordavano cibo e bevanda e neppure si accorgevano di morire; da costoro ed inseguito a ciò discese la famiglia delle cicale, che dalle Muse fu concesso il favore di non aver affatto bisogno da quando sono nate di cibo, ma di poter cantare subito, senza mangiare e bere, fino alla morte, e dopo, di andare presso le Muse a riferire chi le onori sulla terra e quale di esse ciascuno veneri.
A Tersicore dunque le cicale menzionano quelli che l’hanno venerata con le danze, e così li rendono assai cari a lei, a Erato, parlano di quelli che la venerano in canti d’amore, e alle altre Muse ugualmente secondo l’arte per cui ciascuna è onorata; alla più anziana, Calliope e a quella dopo di lei Urania, esse menzionano quelli che passano la vita a filosofare e così onorano l’arte musica proprio di quelle.
Queste sopra tutte le altre Muse presiedendo alle cose celesti ed occupandosi dei discorsi divini, sanno il canto più soave.
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