Quale pena per Socrate?

τί δείσας; ἦ μὴ πάθω τοῦτο οὗ Μέλητός μοι τιμᾶται, ὅ φημι οὐκ εἰδέναι οὔτ' εἰ ἀγαθὸν οὔτ' εἰ κακόν ἐστιν; ἀντὶ τούτου δὴ ἕλωμαι ὧν εὖ οἶδά...

Avendo temuto cosa? Che non mi capiti forse questo di cui mi ritiene colpevole Meleto, che dico di non sapere se è un bene o un male? Invece di questo dovrei scegliere qualcosa di quelle che so bene essere dei mali, ritenutomi degno di questa? Il carcere forse? E perché io dovrei vivere in carcere, servendo la magistratura via via predisposta, gli Undici? Una multa allora e restare in carcere finché l’abbia pagata; Ma per me è la stessa cosa che per l’appunto dicevo proprio ora; non ho infatti il denaro con cui pagarla.

Dovrei dunque proporre l’esilio. Di questo infatti potreste forse ritenermi degno. Avrei certo un grande amore della vita, o uomini di Atene, se fossi così stolto da non poter considerare che voi, che pure siete miei concittadini, non foste capaci di sopportare le mie conversazioni  e i discorsi, ma sono stati per voi troppo pesanti e odiosi, così che ora cercate di liberarvene; ma altri li sopporteranno forse facilmente?

Si è certo molto distanti, o uomini ateniesi. Bella sarebbe quindi la vita per me, un uomo di tale età, vivere mandato in esilio, che cambia ora una città ora un’altra e che viene scacciato.

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