Un attacco a sorpresa
Caesar per litteras Trebonio magnopere mandaverat ne per vim oppidum expugnari paterentur ne gravius premoti milites et defectionis, odio ...
Cesare aveva fortemente raccomandato a Trebonio con una lettera che non permettesse di espugnare la città con la forza, perché (finale)
i soldati, scossi troppo gravemente (gravius) e dall'odiosità della defezione e dall'atteggiamento di disprezzo nei loro confronti e dalla continua fatica, non uccidessero tutti gli adulti; infatti minacciavano di farlo (=che l'avrebbero fatto) e a stento allora furono trattenuti dall'irrompere nella città e a malincuore sopportarono la cosa, poiché pensavano che fosse dipeso da Trebonio che non s'impadronissero della città. Ma i nemici, in mala fede, cercano un momento favorevole per un subdolo inganno e, lasciato passare qualche giorno, mentre i nostri se ne stanno rilassati e tranquilli, a mezzogiorno, all'improvviso, quando alcuni si sono allontanati, altri sui posti stessi dei lavori si sono concessi un riposo dalla lunga fatica e tutte le armi sono state messe via e coperte, irrompono fuori dalle porte, e danno fuoco ai lavori di assedio approfittando di un vento forte e favorevole. Il vento propagò il fuoco così velocemente che in un momento trincea, gallerie, testuggine, torre, macchine da guerra furono in fiamme e tutto ciò fu distrutto prima che si potesse capire in che modo l'incendio era avvenuto.
I nostri, scossi dall'improvvisa sciagura, afferrano le armi che possono, altri si lanciano fuori dal campo. Assaltano i nemici, ma le frecce e i proiettili scagliati dalle mura impediscono di inseguire i fuggitivi. Quelli si ritirano ai piedi del muro e qui, senza ostacolo, incendiano la galleria e la torre di mattoni. Così il lavoro di molti mesi in un attimo va in rovina per la perfidia dei nemici e la violenza della tempesta.
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