La personalità di Attico (Versione latino Nepote)
La personalità di Attico
Autore: Cornelio Nepote
Titus Pomponius Atticus mendacium neque dicebatneque pati poterat. Itaque eius comitas non sine severitate erat neque gravitas sine facilitate, ut difficile esset intellectu, utrum eum amici magis vererentur an amarent.
Quidquid rogabatur, religiose promittebat, quod non liberalis, sed levis arbitrabatur polliceri, quod praestare non posset. Idem in nitendo, quod semel annuisset, tanta erat cura, ut non mandatam, sed suam rem videretur agere. Numquam suscepti negotii eum pertaesum est: suam enim existimationem in ea re agi putabat; qua nihil habebat carius. Quo fiebat, ut omnia Ciceronum, Catonis Marci, Q. Hortensii, Auli Torquati, multorum praeterea equitum Romanorum negotia procuraret. Ex quo iudicari poterat non inertia, sed iudicio fugisse rei publicae procuratione
Humanitatis vero nullum afferre maius testimonium possum, quam quod adulescens idem seni Sullae fuit iucundissimus, senex adulescenti M. Bruto, cum aequalibus autem suis, Q. Hortensio et M. Cicerone, sic vixit, ut iudicare difficile sit, cui aetati fuerit aptissimus.
Quamquam eum praecipue dilexit Cicero, ut ne frater quidem ei Quintus carior fuerit aut familiarior.
(Tito Pomponio Attico) Menzogne non le diceva né poteva sopportarle. Così la sua affabilità non era scevra da severità, né la sua serietà senza cordialità; sì che difficilmente si capiva, se gli amici lo amassero o rispettassero di più. Di qualunque cosa fosse richiesto, era molto cauto nel promettere, perché riteneva che fosse di persona non liberale ma leggera promettere quello che non si può mantenere. Ma poi nel mantenere quello che avesse una volta accordato, metteva un tale impegno, da sembrare che trattasse non un affare affidato da altri, ma suo proprio.
Mai ebbe a pentirsi di un impegno preso; riteneva infatti che in quella faccenda fosse in giuoco la sua riputazione, che era la cosa a cui teneva di più. Così egli si trovò a dover trattare tutti gli affari dei Ciceroni, di M. Catone, di Q. Ortensio, di A. Torquato, inoltre di molti cavalieri romani. Dal che si può giudicare che non tanto per pigrizia, quanto a ragion veduta egli abbia evitato l'amministrazione dello Stato.
Della sua umanità non posso citare testimonianza maggiore del fatto che da giovane egli fu carissimo al vecchio Silla, da vecchio al giovane M. Bruto; con i suoi coetanei poi A. Ortensio e M. Cicerone, visse in modo tale che è difficile giudicare a quale età egli fosse più adatto. Cicerone comunque lo amò in sommo grado, tanto che neppure il fratello Quinto gli fu più caro o più intrinseco.
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