I Galli minacciano l’Italia: orgogliosa è la reazione dei Romani

Confecto et victo bello in Fidenates et Veientes, novae minae Romanis fuerunt. Galli Senones, gens ... Iuventus vero duce Manlio arcem Capitolini montis insedit templum Iovis defensura.

Terminata e vinta la guerra (ablativo assoluto) contro i Fidenati ed i Veientani, ci furono nuove minacce per i Romani.

I Galli Senoni, popolo di natura bellicosa, con costumi rozzi, con un grande corpo e con grandi armi, costringevano le milizie ad annientare gli uomini e a fare strage delle città; essi erano arrivati con un enorme schieramento per occupare l'Italia dalle più lontane rive della terra e che tutte le accerchiava l'Oceano e, poste le loro sedi fra le Alpi ed il Po, ma non contenti di queste (sedi) erravano per l'Italia per procurarsi nuovi stanziamenti. Allora assediavano la città di Chiusi. I Romani intervennero a favore degli alleati e dei confederati e furono inviati, come d'uso, legati per controllare la situazione e per allontanare i barbari con un colloquio.

Ma quelli si comportarono con ferocia; da qui lo scontro. Mentre i legati facevano ritorno a Roma, il console Fabio accorse con l'esercito al fiume Allia per opporsi ai nemici, ma non impedì la sconfitta. I Galli, annientato l'esercito  si avvicinavano ormai alle mura per prendere la città; non esistevano difese. Ma proprio allora si manifestò quel celebre valore Romano. Gli anziani arrivarono nel foro ed lì, mentre il pontefice faceva un rito, si raccomandarono agli dei Mani e subito, appena dopo che avevano fatto ritorno a casa loro, si sedettero sulle sedie curuli, per perdere la vita nella loro dignità.

I pontefici ed i flamini ripresero i sacrifici o in terra o, riposti sui carri (gli oggetti sacri), li portarono con loro a Veio, affinché non cadessero nel potere dei nemici. Ma la gioventù si insediò sulla rocca del monte Capitolino sotto il comando di Manlio, per proteggere il tempio di Giove.

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