Flautisti in sciopero (Versione latino di Livio)
Flautisti in sciopero
Tibicines, quia prohibiti a proximis censoribus erant in aede Iovis vesci, quod traditum antiquitus erat, aegre passi Tibur uno agmine abierunt, adeo ut nemo in urbe esset, qui sacrjficiis praecineret....
I flautisti, poiché gli ultimi censori avevano proibito loro di tenere il (tradizionale) banchetto nel tempio di Giove, il che era tramandato fin dall’antichità, indignati in gruppo se ne andarono a Tivoli, in modo che in città non restasse nessuno che accompagnasse con la musica i sacrifici rituali.
L’aspetto religioso di quel fatto preoccupò il senato e (i senatori) inviarono a Tivoli dei messi affinché si adoperassero per far restituire quegli uomini ai Romani.
I Tiburtini, promesso il loro interessamento, in un primo tempo convocarono quelli nella curia e li esortarono a tornare a Roma; dopo che non riuscirono a convincerli, con uno stratagemma adeguato all’indole di quel tipo di uomini li ingannarono. In una giornata festiva alcuni (cittadini) li invitano con il pretesto di rallegrare i banchetti con, la musica e li fanno addormentare dopo averli riempiti di vino, del quale quel tipo di uomini in genere è avido, e così li buttano sui carri vinti dal sonno e li riportano a Roma. Ed essi non si accorsero (di nulla)
prima che li svegliasse la luce del sole, intontiti dalla sbornia sui carri abbandonati nel foro.
Dal libro Vertendi Iter (diversa)
Rem dictu parvam praeterirem, nisi ad religionem visa esset pertinere. Tibicines, quia prohibiti a censoribus erant in aede Iovis vesci,...
Sorvolerei su un avvenimento di lieve momento, se non mi fosse parso aver attinenza con la religione.
I flautisti, poiché gli ultimi censori avevano loro proibito di consumare i pasti nel sacrario di Giove, mal tollerandolo, poiché la tradizione aveva origini antiche, se ne andarono a Tivoli in schiera compatta, sicché in città non rimase nessuno che preludiasse con musica ai sacrifici.
Il senato fu preso da scrupoli religiosi e mandarono un'ambasceria a Tivoli, perché si adoperasse a che quegli uomini fossero restituiti ai Romani. I tiburtini promisero benevolmente e, chiamatili, in un primo tempo li esortarono a tornare a Roma; dopo che non potevano essere a ciò indotti, cercano astutamente di cattivarseli.
Durante una festività gli uni invitano gli altri con il pretesto di allietare il banchetto con il canto e, riempitili di vino, del quale è avido questa genia d'uomini, li addormentano e, caricatili sui carri immersi nel sonno, li riportano a Roma.
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